L’ordinamento giuridico e le norme giuridiche.
A cura di Gianni Ascione, Dottore in Giurisprudenza – Azienda Ospedale di Perugia
·
Forme di Stato e forme di Governo
·
Rapporti fra l’ordinamento interno e
l’ordinamento internazionale
·
L’Unione Europea
La
Costituzione
Il Servizio Sanitario Nazionale
e l’articolo 32 della Costituzione
·
La Sanità prima del Sistema Sanitario Nazionale
·
Le tre riforme della Sanità dell’ultimo
ventennio:
A) La riforma della legge 833 del 1978
I limiti della riforma del 1978 e l’avvento dell’aziendalizzazione
B)
La riforma del Decreto Legislativo n. 502 del 1992 – struttura,
Organizzazioni
e funzioni del SSN
C) La riforma del Decreto
Legislativo n. 229 del 1999 – le principali novità
·
Il Decreto Legislativo n. 517/1999 e i nuovi
rapporti tra Servizio Sanitario Nazionale ed Università
·
Il Decreto Legislativo n. 254/2000 ed il
potenziamento della libera professione intramuraria
·
Il nuovo ordinamento del personale delle Aziende
sanitarie
Doveri, Responsabilità e
Diritti dei dipendenti pubblici
·
I doveri del dipendente in generale
·
La privacy e il segreto nell'esercizio
professionale
·
La responsabilità civile, penale, amministrativa
·
I diritti del dipendente
I diritti dei cittadini e la legge regionale n. 27
del 20 maggio 1987
L'ordinamento
giuridico, o diritto, è un tipo di ordinamento sociale che ha a che fare con
quella speciale società umana che è lo
Stato. Ma che cosa è la società umana: una unione organizzata di
persone, vale a dire un'unione voluta per perseguire determinati scopi di
comune interesse.
Per fare questo
ogni società deve necessariamente darsi un'organizzazione
sociale, cioè una serie di vincoli alla libertà degli individui in vista
dei fini comuni da perseguire.
La società si
pone quindi una serie più o meno complessa di regole dell'agire
dell'individuo nei rapporti sociali.
Tante sono le
regole dell'agire umano che interessano diversi ambiti della vita sociale: ci
sono le regole morali, le regole religiose, le regole sportive, le regole del
galateo, etc. Ciascun gruppo di regole rappresenta un ordinamento sociale:
l'ordinamento religioso, l'ordinamento sportivo, etc.
E ci sono anche
le regole giuridiche e dunque, l'ordinamento
giuridico. Ma cosa distingue l'ordinamento giuridico dagli altri
ordinamenti?
È il complesso delle regole poste a tutela degli
interessi di tutta la comunità e non di una parte di essa (gli sportivi, i
religiosi, etc.) e che devono essere obbligatoriamente rispettate da tutti.
L'ordinamento giuridico individua nello Stato, l'autorità assolutamente in
grado di far rispettare le regole e di sanzionare chi non le rispetta.
L'ordinamento giuridico è, quindi, il
diritto e le regole che ne fanno parte, sono quindi giuridiche o, come si
dice, norme giuridiche.
Vediamo
brevemente i caratteri di queste regole speciali che sono le norme giuridiche
e cosa le distingue dalle regole degli altri ordinamenti.
1.
Innanzitutto devono essere rispettate da tutti; e questo loro carattere
è definito come coercibilità,
imperatività o doverosità.
2.
Inoltre, sono generali perché
si rivolgono ad un numero non determinato di destinatari, ad un'intera comunità
di cittadini e, molte volte, anche a chi non ha la cittadinanza: è il caso
delle norme penali che puniscono anche reati commessi dallo straniero in
Italia e, addirittura, i reati commessi dal cittadino italiano all'estero.
3.
Le norme giuridiche sono anche astratte,
nel senso che non fanno riferimento a casi o persone specifiche e ben
individuate, ma descrivono un'ipotesi astratta che nella realtà di tutti
giorni si può avverare molte volte. In parole povere, le norme giuridiche
descrivono comportamenti - tipo e dicono cosa si deve o si può fare o non
fare ed eventualmente, quali sanzioni ci aspettano se non si rispetta la norma
giuridica.
4.
L'ultimo carattere rilevante delle norme giuridiche è la novità. Ogni nuova norma giuridica introduce nell'ordinamento
giuridico una novità, nel senso che pone regole che prima non c'erano oppure
sostituisce norme (la cosiddetta abrogazione di norme già esistenti) non più
attuali, operando una sorta di manutenzione e aggiornamento dell'ordinamento
giuridico rispetto alla realtà corrente.
Abbiamo visto
come l'ordinamento giuridico presupponga e qualche modo si identifichi con lo
Stato: ciò in quanto è lo Stato che rende le regole dell'ordinamento,
“giuridiche”, cioè regole di diritto.
Ma che cosa è lo
Stato? Generalmente si ritiene che esso sia l'insieme di tre elementi
essenziali il popolo, il territorio, il
governo.
·
Il
popolo è il insieme dei membri di questa grande società che è lo Stato;
·
il
territorio è la sede comune del popolo;
·
il
governo è il complesso di cittadini e di enti ai quali è attribuito
l'esercizio della sovranità statale. Il termine “governo” ha qui un
significato più ampio e diverso dal governo come organo dello Stato (es. il
governo D'Alema) distinto dal parlamento. Qui parliamo della funzione di
governo dello Stato in senso ampio, che implica tre ordini di poteri pubblici:
1.
il potere di fare le leggi (potere legislativo)
2.
il potere di dare esecuzione alle leggi (potere esecutivo)
3.
il potere di interpretare e a fare le norme giuridiche e di infliggere
le sanzioni per la sua inosservanza (potere giurisdizionale).
Da quanto abbiamo
detto fin ora, si deduce che il termine Stato è adoperato con diversi
significati che possono essere raggruppati nel seguente modo:
·
Stato-apparato:
complesso degli enti e delle strutture che esercitano il potere dello stato
·
Stato-comunità:
insieme dei soggetti della comunità statale.
Forme di Stato e forme di governo
Come si può
immaginare, non esiste un solo modello, una sola forma di Stato, come non
esiste una sola forma di governo.
Se guardiamo alla
storia ed alla realtà, possiamo riconoscere diverse forme di Stato: lo Stato
assoluto, lo Stato liberale, lo Stato totalitario, lo Stato socialista, lo
Stato regionale, lo Stato federale, lo Stato democratico e sociale.
Il nostro è uno Stato democratico - regionale.
La forma di governo definisce il modo in cui è diviso il potere politico fra gli organi supremi dello Stato. Tra le forme più ricorrenti vi sono il governo parlamentare (come il nostro), quello assembleare (ex Unione Sovietica), quello direttoriale (rivoluzione francese: direttorio di cinque membri eletti dalle camere; oppure Svizzera), quello presidenziale (esempio Stati Uniti di America).
Rapporti fra l'ordinamento interno e l'ordinamento
internazionale.
Ciascuno stato ha
il suo ordinamento, autonomo ed indipendente. Tuttavia ciascuno stato fa parte
di una comunità internazionale e quindi deve attuare forme di coesistenza e
di integrazione tra il proprio ordinamento e quello internazionale, nel
rispetto della propria sovranità.
L'adattamento del
diritto interno al diritto internazionale avviene in diversi modi:
·
tramite
rinvio automatico alle norme internazionali universalmente riconosciute, le
cosiddette consuetudini (articolo 10 della costituzione);
·
tramite
un provvedimento (generalmente la legge) che ordina l'esecuzione di trattati
internazionali;
·
tramite
la riscrittura delle norme internazionali in norme interne.
L'Unione Europea.
Abbiamo
introdotto il discorso dell'ordinamento internazionale (o sovranazionale), che
ci riporta alla mente l'organismo sovranazionale di cui sentiamo sempre più
parlare, che è la Comunità Europea
(oggi Unione Europea). Vediamone brevemente la storia.
Alla fine degli
anni 50 gli stati dell'Europa occidentale istituirono delle organizzazioni
sovranazionali per realizzare l'integrazione europea per un mercato comune.
Delle tre organizzazioni che si costituirono, la CECA (Comunità Europea del
Carbone e dell'Acciaio), la CEE (Comunità Economica Europea) e l'EURATOM
(Ente Europeo per l'Energia Atomica) facevano inizialmente parte sei stati:
Belgio, Olanda, Lussemburgo, Francia, Germania, e Italia. Successivamente vi
aderirono l'Irlanda, la Gran Bretagna e la Danimarca (1973), la Grecia (1981),
la Spagna e il Portogallo (1986), l'Austria, la Finlandia, e La Svezia (1995).
Oggi gli stati membri sono 15. Attualmente si sta discutendo sull'allargamento
della Comunità Europea ai paesi dell'Est.
Con la ratifica
dei trattati comunitari è stato istituito un vero e proprio ordinamento
giuridico che impone agli stati membri, limitatamente ai settori economico,
carbosiderurgico, e atomico, determinati comportamenti in vista dell'unione
economica europea.
Le comunità
europee hanno organi comuni (il Parlamento Europeo, il Consiglio, la
Commissione, la Corte di giustizia, la Banca Centrale Europea) che emettono
norme vincolanti gli stati membri.
La Costituzione.
Abbiamo introdotto i concetti di ordinamento giuridico, di Stato e di norma giuridica o diritto. Passiamo quindi ad affrontare il discorso sulle fonti del diritto, partendo dalla fonte primaria e più importante che è la Costituzione.
Avrete già
intuito la definizione di fonti del diritto: sono quelle regole che
l'ordinamento abilita ad innovare, ad incidere sul diritto. Queste fonti sono
perciò dette fonti legali. In
genere queste fonti sono previste e regolate dalla Costituzione.
La Costituzione
è quindi al primo posto tra le fonti del diritto ed è l'insieme delle norme
fondamentali di un ordinamento giuridico.
Essa fu approvata
dall'assemblea costituente il 22 dicembre 1947, fu promulgata il successivo 27
dicembre 1947 ed entrò in vigore il primo gennaio 1948. Consta di 138
articoli e 18 disposizioni transitorie e finali.
La Costituzione
disciplina le linee essenziali dell'organizzazione dello Stato, le relazioni
tra lo Stato e i cittadini, le norme sulla produzione del diritto, i valori e
i principi fondamentali del nostro ordinamento. Lo schema seguente, che è
quello della nostra Costituzione, rende più evidenti la sua struttura ed i
suoi contenuti.
PRINCIPI FONDAMENTALI |
|
|
1 - 12 |
|||||||
|
|
|
|
|||||||
PARTE I: DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI |
|
|
|
|||||||
Titolo I |
Rapporti civili |
|
13 - 28 |
|||||||
Titolo II |
Rapporti Etico sociali |
|
29 - 34 |
|||||||
Titolo III |
Rapporti economici |
|
35 - 47 |
|||||||
Titolo IV |
Rapporti politici |
|
48 - 54 |
|||||||
|
|
|
|
|||||||
PARTE II: ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA |
|
|
|
|||||||
Titolo I |
Il Parlamento |
|
|
|||||||
|
Sezione I |
Le Camere |
55 - 69 |
|||||||
|
Sezione II |
La formazione delle leggi |
70 - 82 |
|||||||
Titolo II |
Il Presidente della Repubblica |
|
83 - 91 |
|||||||
Titolo III |
Il Governo |
|
|
|||||||
|
Sezione I |
Il Consiglio dei Ministri |
92 - 96 |
|||||||
|
Sezione II |
La Pubblica Amministrazione |
97 - 98 |
|||||||
|
Sezione III |
Gli Organi Ausiliari |
99 - 100 |
|||||||
Titolo IV |
La Magistratura |
|
|
|||||||
|
Sezione I |
Ordinamento giurisdizionale |
101 - 110 |
|||||||
|
Sezione II |
Norme sulla giurisdizione |
111 - 113 |
|||||||
Titolo V |
Le Regioni, le Province, i Comuni |
|
114 - 133 |
|||||||
Titolo VI |
Garanzie Costituzionali |
|
|
|||||||
|
Sezione I |
La Corte Costituzionale |
134 - 137 |
|||||||
|
Sezione II |
Revisione della Costituzione - leggi costituzionali |
138 - 139 |
|||||||
|
|
|
|
|||||||
DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI |
|
|
I - XVIII |
|||||||
Un breve commento delle norme costituzionali.
I primi 12
articoli esprimono i principi fondamentali, i valori guida della nostra
Repubblica:
·
il
principio democratico e della sovranità del popolo;
·
la
tutela dei diritti inviolabili dell'uomo e dei doveri di solidarietà sociale;
·
il
mitico principio di uguaglianza (articolo tre);
·
il
diritto al lavoro, la promozione delle autonomie locali, la tutela delle
minoranze, la libertà religiosa, il riconoscimento del diritto
internazionale, il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà
dei popoli.
Dopo i principi
fondamentali, c'è la prima parte della Costituzione, dedicata ai diritti e
doveri dei cittadini, come individui, come lavoratori e come membri della
comunità sociale e politica.
Di particolare
rilievo il diritto di libera associazione (articolo 18), il diritto di difesa
(articolo 24), la responsabilità dei pubblici dipendenti (articolo 27) di cui
parleremo in seguito; ed ancora, la tutela della famiglia (articoli 29 - 31), il
diritto alla salute (articolo 32), che ci riguarda in modo particolare
come cittadini ed operatori, il diritto al lavoro ed alla libertà sindacale
(articoli 35 - 39), il diritto di sciopero (articolo 40), il diritto di
proprietà (articoli 42 - 43), il diritto di voto (articolo 48).
La seconda parte
è dedicata all'ordinamento della nostra Repubblica.
Si dettano
innanzitutto le regole fondamentali del Parlamento e della formazione delle
leggi, del Presidente della Repubblica, del Governo e dei così detti organi
ausiliari (Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, Consiglio di Stato,
Corte dei Conti).
Si introducono
gli importantissimi principi che devono governare l'agire della Pubblica
Amministrazione: il principio di buon
andamento ed il principio di imparzialità.
Si parla quindi
della Magistratura, per affermarne l'autonomia e l'indipendenza da ogni altro
potere.
Viene ancora
delineato l'ordinamento degli enti locali (Regioni, Province, Comuni) e si
stabilisce il potere delle regioni di fare leggi ed i relativi limiti.
L'ultimo ma non
meno importante titolo della Costituzione, il sesto, riguarda le garanzie
costituzionali e, in particolare, la Corte
Costituzionale, che è il supremo presidio per il rispetto della
Costituzione.
Essa giudica
·
sulla
conformità alla Costituzione degli atti legislativi dello Stato e delle
Regioni;
·
sui
conflitti tra i poteri dello Stato e fra lo Stato e le Regioni;
·
sulle
accuse di alto tradimento e di attentato alla Costituzione, mosse al
Presidente della Repubblica.
Abbiamo visto che
la Costituzione è una fonte del diritto; anzi, la fonte delle fonti. Abbiamo
anche definito fonti del diritto quelle regole abilitate dall'ordinamento ad
innovare il diritto.
Tuttavia, va
detto che non tutte le regole prodotte dagli organismi a ciò abilitati sono
fonti del diritto; ed allora, quali sono queste fonti?
A questo
proposito va anche detto che nella Costituzione non esiste un elenco
esplicito, completo e tassativo delle fonti del diritto. Un simile elenco
esiste in una norma di legge non costituzionale, che si dice "legge
ordinaria": è l'articolo 1 delle "disposizioni sulla legge in
generale", che troviamo nel codice civile.
Questo articolo
stabilisce che sono fonti del diritto:
1)
le leggi
2)
i regolamenti
3)
le norme corporative (soppresse nel 1943)
4)
gli usi.
Il successivo
articolo 2 delle “disposizioni sulla legge in generale” menziona "gli
atti del governo aventi forza di legge"; ed ancora, l'articolo 3 cita
"i regolamenti del governo", distinguendoli dai "regolamenti di
altre autorità".
Questo elenco non
esaurisce i tipi di fonte del nostro ordinamento; basti pensare agli statuti
degli enti locali. Allora, la dottrina giuridica ha detto che per identificare
le regole che sono fonti del diritto bisogna badare oltre che al nome, alla
sostanza delle regole, verificando se hanno i caratteri delle norme
giuridiche, cioè se sono imperative, generali, astratte e nuove. Ma non ci
addentriamo oltre nel problema, perché non è nostro compito.
Prima di
esaminare le fonti più in particolare, dobbiamo dire un concetto
fondamentale: ciascuna fonte ha una sua "forza formale",
riconosciuta dall'ordinamento, che la colloca più in alto o più in basso
delle altre; in modo che le norme che stanno più in alto prevalgono su quelle
che stanno più in basso.
Le fonti del
diritto, pertanto, sono ordinate gerarchicamente, proprio come si verifica
nella gerarchia militare; pur se, dobbiamo dire, il principio di gerarchia
soffre di eccezioni, che, nell'economia di questo lavoro, non compete
esaminare.
Proviamo ora ad
elencare le fonti secondo il principio gerarchico:
1 |
La Costituzione, le leggi costituzionali e di
revisione della Costituzione, gli Statuti delle Regioni a Statuto
speciale |
2 |
Le leggi ordinarie, i decreti legge e i decreti
legislativi delegati, gli Statuti delle regioni a Statuto ordinario, le
leggi regionali che sono esercizio di potestà legislativa
"primaria", il referendum abrogativo di norme legislative |
3 |
Le leggi regionali che sono esercizio di potestà
legislativa "derivata" o "attuativa" di leggi
statali |
4 |
I regolamenti del governo ed i regolamenti
parlamentari |
5 |
I regolamenti delle regioni, gli Statuti degli enti
locali |
6 |
Le consuetudini |
Accenniamo ora
alle fonti più importanti.
La Costituzione.
Della
Costituzione abbiamo già parlato. Aggiungiamo che essa è al primo posto
anche tra le fonti di rango costituzionale, in quanto deliberata
dall'Assemblea Costituente, espressa dal popolo.
Le leggi costituzionali e di revisione della Costituzione.
Sono leggi che
per essere adottate richiedono una procedura più "pesante" di
quella prevista per le leggi ordinarie. Lo prevede la Costituzione
all'articolo 138; e sempre la costituzione, all'articolo 72, prescrive che
queste leggi debbano sempre essere esaminate ed approvate direttamente dalla
Camere, e non dalla commissioni parlamentari, come può avvenire per le leggi
ordinarie.
Le leggi di
revisione della Costituzione sono quelle che incidono sul testo della
Costituzione.
Le altre leggi
costituzionali sono quelle espressamente indicate dalla costituzione (articoli
132 e 137), quelle che derogano alle norme costituzionali senza abrogarle e
quelle che il Parlamento intenda approvare con la procedura
"aggravata" di cui abbiamo parlato prima.
Le leggi ordinarie sono le fonti del diritto per eccellenza;
prevalgono su ogni altra fonte e sono subordinate solo alle fonti di rango
costituzionale. La funzione legislativa (fare le leggi) spetta, per
costituzione, collettivamente alle due camere (articolo 70) che, insieme,
formano il parlamento.
La Costituzione
prevede anche il procedimento di formazione delle leggi, le cui fasi sono:
·
l'iniziativa
delle legge, che appartiene al governo, ai deputati e senatori, ad altri
organi ed enti cui sia conferita con legge costituzionale, al popolo (almeno
50.000 elettori);
·
l’esame
ed approvazione da parte del Parlamento e delle sue commissioni;
·
la
promulgazione da parte del Presidente della Repubblica entro un mese
dall'approvazione;
·
la
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale ed entrata in vigore, di regola, dopo
15 giorni.
Gli atti del Governo aventi forza di legge sono i decreti legge ed i decreti legislativi delegati.
Abbiamo detto che la funzione legislativa spetta al Parlamento; esistono tuttavia casi, previsti dalla Costituzione, che giustificano l'emanazione di atti che hanno la forza della legge, anche da parte del Governo; questi atti sono i decreti legislativi delegati ed i decreti legge.
I decreti legislativi delegati.
L'articolo 76 della Costituzione consente al Parlamento di delegare al Governo
l'esercizio della funzione legislativa; a condizione che tale delega sia
conferita con legge (la così detta "legge delega"), riguardi
materie ben definite e dia al Governo un termine preciso e limitato per
esercitarla. Generalmente la delega riguarda materie molto tecniche o
situazioni da regolare con una tempestività che il Parlamento non è in grado
di assicurare.
I Decreti Legge. L'articolo 77 della Costituzione prevede che,
in casi straordinari di necessità ed urgenza il Governo adotti provvedimenti
provvisori con forza di legge. Questi provvedimenti devono essere subito
presentati in Parlamento, che deve convertirli in legge entro 60 giorni dalla
loro pubblicazione. In caso contrario, il decreto legge perde efficacia sin
dall'inizio, ed è come se non fosse mai esistito.
Gli Statuti delle Regioni.
L'articolo 123
della Costituzione prevede che ogni regione abbia uno Statuto che stabilisce
le norme relative alla propria organizzazione interna.
Lo Statuto è
quindi espressione dell'autonomia regionale. In Costituzione sono previsti 2
tipi di Statuto:
1.
lo Statuto speciale, adottato con legge costituzionale, a favore di 5
regioni che godono di una speciale autonomia: Sicilia, Sardegna, Friuli
Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Valle D'Aosta;
2.
lo Statuto ordinario, per tutte le altre regioni, deliberato dal
Consiglio regionale ed approvato con legge del Parlamento.
Quindi, gli
Statuti speciali sono leggi costituzionali, gli Statuti ordinari sono leggi
ordinarie.
Le leggi regionali.
È noto che le
regioni hanno il potere di emanare proprie leggi. Le leggi regionali possono:
1.
concorrere ed avere pari dignità rispetto alle leggi dello Stato,
entro i limiti previsti dalla Costituzione (articolo 117), dei principi
generali dell'ordinamento giuridico statale, degli obblighi internazionali,
degli interessi nazionali e delle altre regioni; questo potere legislativo si
chiama "potestà legislativa primaria e concorrente" con quella
dello Stato;
2.
attuare (per tutte le regioni) ed integrare (per sole regioni a Statuto
speciale) le leggi dello Stato, purché questo potere sia loro demandato da
leggi dello Stato (articolo 117, ultimo comma, della Costituzione).
Il referendum abrogativo.
È un tipico strumento di democrazia diretta, nel senso che è il popolo in prima persona a poter decidere l'abrogazione (vale a dire, la cancellazione), totale o parziale, di una legge o di un atto avente forza di legge. In questo senso, la Corte Costituzionale ha assimilato il referendum ad una fonte legislativa.
L'articolo 75
della Costituzione prevede che il referendum non possa abrogare le leggi
tributarie e di bilancio, di amnistia e indulto, di autorizzazione a
ratificare trattati internazionali.
Il Servizio Sanitario Nazionale e
l’articolo 32 della Costituzione.
Il Servizio
Sanitario Nazionale odierno è il punto di arrivo di una lunga evoluzione
della sanità pubblica nel nostro paese che, solo a distanza di circa
trent'anni dalla emanazione della Costituzione, ha iniziato a dare un'organica
risposta al dettato dell'articolo 32 della Costituzione stessa.
È utile
esaminare brevemente questo cammino.
Dopo
l’unificazione del regno d'Italia, nel 1865, fu emanata nello stesso anno
una legge che affidava tutela della sanità pubblica al ministro dell'interno
in sede centrale e ai prefetti ed ai sindaci, in sede periferica. Nel 1890
furono istituite le IPAB, istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza,
alle quali appartenevano in gran parte gli ospedali.
Fino al 1946,
furono anche istituiti diversi enti mutualistici con compiti previdenziali e
sanitari (Inail, istituto nazionale per le assicurazioni contro gli infortuni
sul lavoro; l'INPS, Istituto Nazionale della Previdenza Sociale; l'ENPAS, Ente
Nazionale di Previdenza e Assistenza degli Statali; l'INAM, Istituto Nazionale
di Assicurazione contro le Malattie) e varie altre mutue con finalità di
previdenza ed assistenza per determinate categorie di professionisti:
commercianti, artigiani, coltivatori diretti, lavoratori pubblici e privati.
Si creò un
mosaico vasto e composito di forme assistenziali, talora profondamente diverse
tra loro.
Nel 1945 la
materia sanitaria venne sottratta al ministero dell'interno e fu affidata ad
una amministrazione autonoma, l'Alto Commissariato per l'igiene e la sanità
pubblica, posto alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Questo, in
estrema sintesi, è lo scenario che precedette l'entrata in vigore della
Costituzione e, in particolare, dei nuovi principi in materia sanitaria,
contenuti negli articoli 32 e 117.
L'articolo 32, al comma primo, afferma in modo solenne che
"la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo
e interesse della collettività”, aggiungendo che essa "garantisce cure
gratuite agli indigenti".
Questa norma dà
dignità costituzionale al principio della doppia rilevanza, individuale e
sociale, della salute; indica inoltre una linea di tendenza nella quale deve
svilupparsi l'ordinamento.
Il comma secondo
dell'articolo 32 contiene due disposizioni che rafforzano la rilevanza
costituzionale del diritto alla salute: nessuno può essere obbligato a
trattamenti sanitari se non dalla legge e, comunque, la stessa legge non può
in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Vale a dire che
il diritto di scegliere se e come curarsi non può essere limitato salvo che
di fronte al superiore interesse pubblico ma comunque in nome di questo
superiore interesse non si può mai violare il rispetto della persona, a pena
di incostituzionalità.
L'altra norma
della Costituzione particolarmente importante in materia sanitaria è l'articolo
117, che attribuisce alla competenza delle regioni la materia della
"assistenza sanitaria ed ospedaliera", nel rispetto dei principi
fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato.
Come già detto,
l'attuazione di questi principi costituzionali non è stata immediata; vediamo
in breve le tappe successive.
Nel 1956 fu
istituito il Ministero della Sanità, che assorbì tutte le competenze
dell'Alto Commissariato e di tutte le altre amministrazioni in materia di
sanità pubblica. Ad esso furono attribuite le funzioni di provvedere ai
servizi sanitari delle amministrazioni dello Stato, di vigilare su tutti gli
enti erogatori di assistenza sanitaria e sull'esercizio di tutte le
professioni sanitarie, di emanare istruzioni obbligatorie per tutte le
amministrazioni pubbliche che si occupavano di sanità.
Quali organi
periferici del Ministero della Sanità furono istituiti il Medico Provinciale
e gli Ufficiali sanitari comunali.
Il Ministero
della Sanità fu la prima vera struttura istituzionale in materia di sanità
pubblica.
Ma è con la
successiva riforma ospedaliera del 1968 (legge 12 febbraio 1968, n. 132) che
si fece un concreto passo in avanti nell'attuazione dell'articolo 32 della
Costituzione.
Con la riforma
ospedaliera, infatti, fu abbandonato il concetto degli enti di assistenza
e beneficenza e il criterio caritativo - assistenziale; gli ospedali vennero
scorporati dagli enti pubblici (IPAB, Mutue, Ospedali civili ed altri enti
pubblici) per essere costituiti in enti autonomi, tutti con la stessa
organizzazione e tutti con il solo scopo del ricovero e della cura.
Questi ospedali
furono distinti in categorie: generali e specializzati, per lungodegenti e per
convalescenti. Quelli generali vennero a loro volta distinti in ospedali di
zona, provinciali e regionali.
La riforma
ospedaliera previde anche:
·
un'attività
di programmazione ospedaliera, un piano nazionale ospedaliero, da raccordare
con i corrispondenti piani regionali;
·
il
finanziamento della spesa tramite la retta di degenza e gli stanziamenti del
Fondo Sanitario Ospedaliero.
L'assistenza
sanitaria comincia quindi a diventare sistema
sanitario. Ma vediamo i passaggi successivi verso la riforma del 1978.
Nel 1972 lo Stato
trasferì alle regioni le funzioni amministrative statali in materia di
assistenza sanitaria ed ospedaliera, inclusi il personale e gli uffici.
Nel 1974, con
legge n. 386, furono estinti i debiti che le mutue avevano accumulato verso
gli Enti ospedalieri, fu istituito il Fondo Nazionale per l'Assistenza
Ospedaliera (che veniva dato alle regioni, che a loro volta lo erogavano agli
ospedali e alle case di cura) e furono dettate disposizioni per il concreto
avvio della riforma.
Per effetto della legge 386, l’assistenza ospedaliera divenne completamente gratuita per tutti coloro che erano già iscritti ad una mutua ed anche per i non iscritti che si iscrivessero in un apposito ruolo regionale, dietro pagamento di una somma forfetaria. E siamo giunti ad un passo dalla riforma del 1978.
Nel 1977, con
legge n. 349, furono soppresse le mutue con funzioni di assistenza sanitaria e
le gestioni sanitarie degli enti di previdenza; furono anche emanate
disposizioni per la stipulazione delle convenzioni uniche per il personale
sanitario.
Sempre nel 1977,
con Decreto del Presidente della Repubblica n. 616, fu completato il
trasferimento alle regioni di funzioni amministrative in materia sanitaria,
esercitate dagli enti diversi dallo Stato.
L'anno dopo, con legge
n. 833 del 23 dicembre 1978, fu istituito il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), dopo un intenso dibattito nel paese tra le forze politiche,
sociali, sindacali ed associazioni di categoria e del volontariato.
Le tre riforme dell’ultimo
ventennio:
A) la riforma della legge 833 del
1978.
I principi, fissati nella legge 833 all'articolo 1, si ispirano
direttamente all'articolo 32 della Costituzione; vediamoli in breve.
GLOBALITÀ DEGLI
INTERVENTI: tutte le attività sanitarie, tanto di prevenzione quanto di cura,
si muovono nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale (SSN);
UGUAGLIANZA DI
TUTTI I CITTADINI NEI CONFRONTI DEL SERVIZIO, senza distinzioni di condizioni
individuali o sociali; si tratta del superamento del sistema mutualistico,
diviso tra tanti enti ed erogatore di prestazioni diseguali secondo le
categorie di cittadini assistiti;
PARTECIPAZIONE
DEI CITTADINI e controllo democratico sulla funzionalità delle strutture
pubbliche;
COLLEGAMENTO E
COORDINAMENTO con tutte le istituzioni che operano nel settore della sanità
e, in particolare, con le associazioni di volontariato.
Gli obiettivi del SSN nella legge 833 vengono elencati, in modo dettagliato, nell'articolo 2; vediamoli in breve.
LA PREVENZIONE
delle malattie e degli infortuni in ogni ambito di vita e di lavoro; finalità
che non esisteva nel sistema mutualistico, basato esclusivamente sulla cura e
sulla riabilitazione.
L'IGIENE E LA
SALUBRITÀ degli ambienti di vita e di lavoro e degli alimenti e il controllo
dell'igiene ambientale.
LA DIAGNOSI, LA
CURA E LA RIABILITAZIONE delle malattie, nel quadro del citato principio della
globalità degli interventi, che comprende anche le attività di prevenzione.
IL SUPERAMENTO
DEGLI SQUILIBRI TERRITORIALI nelle condizioni sociali ed economiche nel Paese,
per assicurare una effettiva eguaglianza di trattamenti su tutto il territorio
nazionale, fin dove possibile.
LA TUTELA DELLA
MATERNITÀ, DELL'INFANZIA, della salute nell'età evolutiva e negli anziani,
delle attività sportive, della salute mentale.
L'organizzazione del SSN nella legge 833.
Per dare
attuazione ai propri obiettivi, la legge 833 previde una complessa divisione
di compiti tra lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e relative
"strutture operative", le Unità Sanitarie Locali.
In estrema
sintesi, vediamo questa divisione di compiti.
Compiti dello
Stato:
·
determinare
gli obiettivi della programmazione sanitaria nazionale, nell'ambito della
programmazione economica nazionale;
·
fissare
i livelli delle prestazioni sanitarie che devono essere garantite a tutti i
cittadini, nell'ambito del Piano Sanitario Nazionale (PSN);
·
individuare
e coordinare le attività amministrative delle regioni in materia sanitaria,
per esigenze unitarie ed internazionali, di programmazione nazionale, di
controllo della spesa sanitaria;
·
dividere
fra le regioni il Fondo Sanitario Nazionale (FSN).
Compiti delle
Regioni:
·
fare le
leggi in materia sanitaria ed ospedaliera, nel rispetto dei principi generali
fissati dalle leggi dello Stato;
·
esercitare
le funzioni amministrative proprie e delegate dallo Stato;
·
fare i
Piani Sanitari Regionali (PSR);
·
dividere
fra le USL il Fondo Sanitario Regionale (FSR);
·
stipulare
convenzioni con le Facoltà di Medicina e gli enti di ricerca per regolare i
contributi delle USL e dell'Università alle attività di assistenza, di
didattica e di ricerca.
Compiti delle
Province:
·
approvare
la localizzazione, nell'ambito del Piano Sanitario Regionale, dei presidi del
SSN;
·
esprimere
parere sulle delimitazioni del territorio delle USL:
Compiti dei
Comuni:
·
esercitare
tutte le funzioni amministrative in materia sanitaria ed ospedaliera,
attraverso le USL.
La legge 833
stabilì quindi che le USL erano "strutture operative dei comuni o delle
comunità montane".
Organi della USL
erano:
-
l'Assemblea Generale, costituita dal Consiglio comunale o dall'assemblea
dell'associazione dei comuni, nel caso in cui il territorio della USL
insistesse su più comuni. All'Assemblea fu demandato il compito di fissare le
linee di fondo dell'attività della USL (approvazione dei bilanci e dei conti
consuntivi, dei piani, dei programmi e delle spese pluriennali, della pianta
organica del personale, dei regolamenti e delle convenzioni);
-
Il Comitato di Gestione eletto dall'Assemblea Generale; ad esso spettavano
tutti gli atti di amministrazione delle USL (le così dette delibere);
-
il Presidente del Comitato di Gestione,
eletto dallo stesso Comitato, con potere di rappresentanza della USL e di
adozione degli atti di gestione necessari ed urgenti, da sottoporre alla
successiva ratifica del Comitato di Gestione;
-
il Collegio dei Revisori dei Conti, col compito di verificare la conformità
alle leggi e la correttezza economico contabile degli atti della USL.
I limiti della riforma della legge 833 e l’avvento dell’aziendalizzazione.
Il modello di
servizio sanitario costruito dalla legge 833 entrò presto in crisi,
principalmente per due fattori: l’insoddisfazione dei cittadini utenti circa
la qualità delle prestazioni e l’incontrollabilità della spesa sanitaria.
Per quanto
riguarda la qualità dei servizi, si assistette ad una forte crescita della
domanda di servizi sanitari, stimolata dalla mancanza di limiti economici;
domanda che divenne insostenibile; risultò difficile, nella realtà,
assicurare livelli omogenei di assistenza e, anzi, emersero forti disparità
nei servizi offerti nelle diverse regioni.
Per
quanto riguarda l’incontrollabilità della spesa sanitaria, la legge 833 non
aveva fissato specifici vincoli finanziari alla spesa sanitaria; a ciò si
aggiungeva la mancata approvazione del Piano Sanitario Nazionale, che doveva
stabilire l’entità del Fondo Sanitario Nazionale. Il Fondo fu invece
determinato ricorrendo al criterio della “spesa storica”, che non
consentiva alcun governo della spesa. Si determinavano continui deficit, che
si incrementavano di anno in anno e venivano ripianati a piè di lista.
In
sostanza il sistema della legge 833, separando i poteri di spesa (in capo a
regioni ed USL) dal finanziamento (a carico dello Stato), determinò una forte
deresponsabilizzazione economica e una totale incontrollabilità dei costi.
Il
livello di crisi raggiunto dal sistema determinò la necessità di una nuova
riforma, con gli obiettivi di aumentare l’economicità della gestione e
responsabilizzare di più tutti i soggetti interessati: le regioni, le
strutture ed i cittadini.
B) La riforma del Decreto Legislativo n. 502 del 1992 - struttura, organizzazione e funzioni del SSN.
Si
giunse così a definire una nuova normativa, il Decreto Legislativo n. 502 del
30 dicembre 1992, più volte integrato e modificato, fino allo scorso anno.
Con
questa seconda riforma, in vigore fino al luglio di quest’anno, si è inteso
realizzare, fra l’altro,
·
una
maggiore responsabilità delle regioni;
·
una più
chiara distinzione tra la politica e la gestione, per perseguire un maggior
livello di economicità;
·
l’attribuzione
di autonomia e responsabilità economica e gestionale alle strutture
sanitarie,
·
il
finanziamento dell’attività sanitaria, prevalentemente in termini di
remunerazione delle prestazioni erogate, piuttosto che di copertura dei costi
comunque sostenuti.
In
sintesi, con la seconda riforma, il sistema si riorganizza come segue.
A livello centrale (lo Stato) vengono definiti, tramite il Piano Sanitario
Nazionale, gli obiettivi fondamentali di prevenzione, di diagnosi e cura, i
livelli uniformi di assistenza e l’entità del finanziamento assicurato al
Servizio Sanitario Nazionale.
A livello regionale vengono definite le strategie organizzative e gestionali più adatte
per attuare il Servizio Sanitario Regionale. Una novità veramente rilevante
sta nel fatto che le regioni possono decidere se assicurare livelli di
assistenza superiori a quelli uniformi e devono ripianare gli eventuali
disavanzi di USL ed Ospedali, utilizzando solo proprie risorse economiche. Per
reperire queste risorse le regioni possono intervenire sui tickets esistenti,
istituirne di nuovi e istituire nuove tasse.
A livello delle strutture che erogano i servizi sanitari (USL ed
Ospedali),
viene loro attribuita la dimensione di "azienda"; in particolare, le nuove aziende sanitarie assumono
la personalità giuridica di diritto pubblico ed autonomia organizzativa,
patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica. Alcuni ospedali, ad alta
specializzazione o di rilevanza nazionale, diventano aziende e si separano
dalle USL; gli altri ospedali restano nelle USL, come presidi interni alle
stesse ma con una certa autonomia contabile (contabilità separata).
L'aziendalizzazione
consiste quindi nell'introduzione, nelle USL e negli ospedali - azienda,
·
di
modelli di gestione tipici dell'impresa privata e
·
di
elementi di mercato nel rapporto tra domanda ed offerta di servizi.
Si
spiega, così,
·
la
scelta di far dirigere le aziende sanitarie da un direttore generale, che tende a somigliare ad un amministratore
delegato dell'impresa privata, in quanto accentra su di sé tutti i poteri di
gestione e risponde alla regione;
·
l'introduzione
di sistemi contabili, di analisi e di previsione dei costi, tipici
dell'impresa privata: la contabilità economico patrimoniale, la contabilità
analitica, il budget, l'obbligo del pareggio di bilancio;
·
la
libertà di scelta delle strutture sanitarie da parte del cittadino e la
remunerazione delle strutture stesse sulla base delle prestazioni
effettivamente erogate, perciò gli introiti realizzati dipendono,
praticamente, dalle scelte del cittadino.
Vediamo
ora gli organi delle aziende
sanitarie, previsti dalla seconda riforma.
Innanzitutto
il Direttore Generale, che ha tutti
i poteri di gestione e la rappresentanza dell'azienda ed è assunto dalla
regione con contratto privatistico. Egli nomina un direttore amministrativo ed
un direttore sanitario, che dirigono rispettivamente i servizi amministrativi
e sanitari ed esprimono parere obbligatorio sugli atti relativi alle materie
di rispettiva competenza.
Poi,
il Collegio dei Revisori, composto
da 3 o 5 membri (se il bilancio supera i 200 miliardi) designati dal Ministero
del Tesoro (ora Tesoro, Bilancio e Programmazione Economica) e dal Sindaco;
esso ha il compito di vigilare sulla osservanza delle leggi e di controllare
la regolarità della gestione contabile.
Accanto ai due, predetti organi, la seconda riforma prevede anche i seguenti organismi:
-
il Consiglio dei Sanitari,
organismo eletto dai dipendenti, con funzione di consulenza tecnico sanitaria.
Esso è presieduto dal direttore sanitario ed è composto da medici ed altri
operatori del ruolo sanitario; esprime parere obbligatorio al direttore
generale per le attività tecnico sanitarie;
-
la Conferenza Dei Sindaci
(od il sindaco), composta dai sindaci del comprensorio territoriale della USL;
essa contribuisce alla programmazione regionale e locale, fa osservazioni sui
bilanci della USL, verifica l'andamento generale delle attività e trasmette
le proprie valutazioni al direttore generale; per le aziende ospedaliere
questo organismo non è previsto;
-
il coordinatore dei servizi
sociali, figura prevista per le USL che assumono dagli enti locali la
gestione dei servizi socio assistenziali.
Dopo
gli organi, parliamo dell'organizzazione
delle aziende sanitarie.
La
seconda riforma conferma l'attribuzione alle USL di compiti di prevenzione ed
erogazione di prestazioni di medicina di base, specialistiche, di diagnostica
strumentale, di laboratorio ed ospedaliere.
Per
quanto riguarda i compiti di prevenzione, vengono istituiti presso ciascuna
USL i Dipartimenti di Prevenzione, che aggregano servizi prima separati
(igiene e sanità pubblica, prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro,
igiene degli alimenti, servizi veterinari).
Le
prestazioni di medicina di base vengono erogate dai medici e pediatri
convenzionati con le USL.
Le
prestazioni specialistiche, di laboratorio ed ospedaliere vengono erogate dai
presidi della USL o da Aziende ospedaliere e pagate delle USL.
Sul
territorio, poi, le USL continuano ad articolarsi in Distretti socio sanitari
ma con compiti più rilevanti e qualificati rispetto a quelli previsti dalla
prima riforma (erogazione dei servizi di primo livello e di pronto
intervento).
Il
Distretto delle aziende USL è il
centro di coordinamento dei servizi sanitari sul territorio, il centro di
orientamento e controllo della domanda socio sanitaria; è, inoltre, un centro
di responsabilità con autonomia economico finanziaria e gestionale.
C) La riforma del Decreto Legislativo n. 229 del 1999 - le principali novità.
Recentemente, con
Decreto Legislativo n. 229 del 16 giugno 1999, è stata varata la terza
riforma del Servizio Sanitario Nazionale, con i seguenti, fondamentali
obiettivi:
·
rafforzare
il SSN e confermare il suo carattere universalistico e solidaristico;
·
spingere
e completare l'“aziendalizzazione”
secondo criteri privatistici: flessibilità, autonomia imprenditoriale,
responsabilità diretta della dirigenza;
·
garantire
la qualità dei servizi attraverso regole di accreditamento di strutture e di
professionisti, uguali per tutti;
·
dare più
voce ai cittadini, facendo loro esprimere il gradimento sull’assistenza
ricevuta, ed attraverso il coinvolgimento delle associazioni di utenti nella
verifica del Servizio Sanitario; condizioni, queste, per “accreditare” le
strutture, vale a dire, per attribuire alle strutture una specie di
certificato di idoneità e qualità;
·
rafforzare
l’autonomia regionale, dando alle regioni la responsabilità di gestire ed
organizzare in prima persona l’offerta dei servizi di prevenzione ed
assistenza;
·
coinvolgere
maggiormente il Comune nella programmazione e valutazione dei servizi;
·
coinvolgere
maggiormente i medici nel governo dell’azienda sanitaria, rilanciando e
premiando il rapporto esclusivo con il SSN.
Per quanto
riguarda l’organizzazione, i cambiamenti più rilevanti sono i seguenti:
·
le
aziende possono acquistare beni e servizi con
le regole di diritto privato, senza dover fare le gare pubbliche, salvo
l’obbligo di fare le gare europee quando l’importo delle forniture da
aggiudicare superi le 200.000 unità di conto europee (circa 400 milioni);
·
viene
confermata la figura del direttore
generale, che deve essere più “managerializzato”, in quanto deve
possedere uno specifico titolo di formazione in materia di sanità pubblica,
organizzazione e gestione sanitaria;
·
scompare
il Collegio dei Revisori, sostituito dal Collegio
sindacale, con compiti più simili alle imprese private;
·
viene
istituito il Collegio di Direzione,
organismo tecnico che affianca il Direttore Generale nella programmazione, nel
governo e nella valutazione delle attività sanitarie; del Collegio di
Direzione devono far parte i direttori sanitario ed amministrativo, i
direttori di distretto, di dipartimento e di presidio;
·
vengono
rafforzate le funzioni di integrazione del distretto e si individua la figura
del Direttore di distretto,
affiancato da un Ufficio di coordinamento delle attività distrettuali,
composto dai rappresentati delle professionalità coordinate dal distretto.
Il Decreto Legislativo n. 517/1999 e i nuovi rapporti
tra Servizio Sanitario Nazionale ed Università.
Pochi mesi dopo
la "riforma della riforma" del decreto legislativo n. 229, viene
emanato un nuovo decreto legislativo, n. 517 del 21 dicembre 1999, col quale
si ridefiniscono in parte i rapporti tra il Servizio Sanitario Nazionale e
l'Università.
Il fine è quello
di precisare e migliorare la cooperazione tra il Servizio Sanitario Nazionale
e i Policlinici Universitari. Questo Decreto, in sintesi, prevede
·
la
stipula di protocolli di intesa tra Regioni ed Università per definire le
linee generali della partecipazione delle Università alla programmazione
sanitaria regionale, i volumi ottimali di attività, i posti letto, le
strutture assistenziali, i criteri per l'adozione dell'atto aziendale di
diritto privato;
·
il
riconoscimento delle aziende ospedaliero - universitarie come strutture
attraverso le quali si realizza la collaborazione;
·
l'organizzazione
di tali aziende in Dipartimenti, Strutture Complesse e Strutture Semplici;
·
l'individuazione
del Direttore Generale, del Collegio sindacale e dell'Organo di indirizzo,
quali organi delle Aziende Ospedaliero Universitarie. L'Organo di indirizzo è
una novità; esso sovrintende all'attività dei così detti "Dipartimenti
ad attività integrata" - attività assistenziale ed attività didattica
- proponendo misure per assicurare la coerenza di queste due attività con la
relativa programmazione generale;
·
la
presenza nel Collegio di Direzione, anche dei Direttori dei Dipartimenti ad
attività integrata.
Il Decreto Legislativo n. 254/2000 ed il
potenziamento della libera professione intramuraria
Con questo
ulteriore Decreto, che integra e corregge il Decreto Legislativo 229, si
stabilisce, fra l'altro, il compito per le Regioni di definire entro fine 2000
un programma di realizzazione di strutture sanitarie per l'attività libero
professionale intramuraria. Viene anche prorogato al 31 luglio 2003 l'uso
degli studi professionali privati per questa attività. Viene stabilito,
infine, che il responsabile di struttura complessa si chiami
"Direttore" ed il Responsabile di struttura semplice si chiami
"Responsabile".
Il nuovo ordinamento del
personale delle aziende sanitarie.
Dopo aver parlato
della struttura e dell’organizzazione delle aziende sanitarie, è opportuno
accennare anche all’organizzazione del personale delle Aziende stesse.
Il personale
delle aziende sanitarie è articolato in 3 grosse categorie: la dirigenza
medica, la dirigenza non medica (sanitaria, professionale ed amministrativa)
ed il personale del comparto, che raggruppa tutte le figure professionali non
dirigenti.
Il rapporto di
lavoro è regolato da contratti di lavoro, che sono di due tipi: 1) contratti
collettivi, stipulati tra sindacati e parte pubblica; 2) contratti
individuali, stipulati tra i neo assunti e l’azienda che li assume.
Per quanto
riguarda i contratti collettivi, esistono due livelli di contrattazione: il
livello nazionale, da cui deriva il contratto collettivo nazionale; il livello
di contrattazione così detta “integrativa”, che si svolge a livello di
azienda sulle materie previste dai contratti collettivi nazionali e produce il
contratto integrativo aziendale.
Il contratto
collettivo nazionale di lavoro (CCNL) della Sanità detta le regole del
rapporto di lavoro, valevoli per tutti gli enti ed aziende del comparto di
contrattazione “Sanità”; il contratto collettivo integrativo aziendale (CCIA)
è estremamente importante perché individua e regola, fra le altre cose, le
risorse ed i meccanismi per l’incentivazione del personale, la
programmazione della formazione, le politiche dell’orario di lavoro e dello
straordinario, i criteri per le carriere del personale. In questo modo, ogni
azienda arriva praticamente a definire una propria “politica del
personale”.
L’ultimo
contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto Sanità, valevole per il
quadriennio 1998/2001, contiene fra le altre cose la grossa novità della
nuova classificazione del personale, che supera la precedente classificazione
basata sulle posizioni funzionali, sui livelli e sui profili. Tale precedente
classificazione, prevista dai Decreti del Presidente della Repubblica (DPR)
761 del 1979 e 384 del 1990, prevedeva ben 8 posizioni funzionali, alle quali
corrispondevano altrettanti livelli retributivi; e in ogni posizione
funzionale erano raggruppati diversi profili professionali, sanitari, tecnici
ed amministrativi. Col nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro,
scompaiono le 8 posizioni funzionali, che vengono sostituite da 4 categorie,
denominate A, B, C e D. In ciascuna categoria è compreso un certo numero di
profili professionali. Il profilo di Ostetrica/o, è reinquadrato nella
categoria C, profilo professionale “Operatori professionali sanitari, mentre
per le attribuzioni ed i requisiti culturali e professionali il contratto fa
rinvio al Decreto Ministeriale 740/1994.
I reinquadramenti
prevedono anche alcuni cambiamenti di nome: per esempio, gli infermieri
professionali diventano più semplicemente “infermieri; le vigilatrici di
infanzia, “infermieri pediatrici”; i terapisti della riabilitazione,
“fisioterapisti”, e così via.
Lo scopo della
nuova classificazione è, dunque, quello di semplificare
e rendere più efficiente ed efficace l’ordinamento del personale; ma è
anche quello di sbloccare, in qualche
modo, le carriere.
Il contratto
collettivo nazionale di lavoro precede infatti tre tipi diversi di
progressione interna di carriere, nei limiti della dotazione organica di
ciascuna categoria e delle risorse a disposizione:
a)
passaggi tra categorie, previa selezione interna con svolgimento di
prova teorico pratica e/o colloquio e valutazione dei curriculum;
b)
passaggi entro le categorie (solo per le categorie B e D) a livelli
economici superiori;
c)
passaggi entro categorie, tra profili diversi dello stesso livello.
La professione Ostetrica
Parliamo ora in
modo specifico della professione di ostetrica/o.
Va premesso che
la riforma sanitaria del 1992 segnò un punto di svolta anche verso la "professionalizzazione"
dei profili del personale sanitario non medico e non laureato. L'articolo 6
del Decreto legislativo 502/1992, infatti, stabilì nuove regole per una
formazione di rango universitario per questi professionisti e demandò al
Ministro della Sanità il compito di individuare, con proprio decreto, le
figure professionali da formare e i relativi profili.
Il Ministro
individuò, tra gli altri, la figura ed il relativo profilo professionale
dell'Ostetrica/o con Decreto 14/09/1994, n. 740 (in appendice), che ne ha
descritto gli ambiti di attività e le responsabilità.
Questo decreto ha
convissuto, fino ai primi del 1999, con le preesistenti regole normative
relative all'"esercizio professionale delle ostetriche"; vale a
dire, il Decreto del Presidente della Repubblica 07/03/1975, n. 163
"aggiornamento del Regio Decreto 26 maggio 1949, n. 1364, concernente il
"regolamento per l'esercizio professionale delle ostetriche" e il
Decreto Ministeriale 15/09/1975 "Istruzioni per l'esercizio professionale
delle Ostetriche".
Difatti, con
legge 26/02/1999, n. 42 "Disposizioni in materia di professioni
sanitarie" viene abrogato il DPR 163/1975 (il così detto "mansionario")
e perdono quindi vigore le relative istruzioni.
Questa stessa
legge 42/1999 propone poi una svolta culturale importante, laddove trasforma
la denominazione "professione sanitaria ausiliaria", ancora vigente
nel Testo Unico delle leggi sanitarie del 1934 e in altre normative, in
"professione sanitaria". Precisa inoltre, quanto al campo di attività
ed alle responsabilità di questi professionisti della Sanità, che sono
determinati dai contenuti:
a)
dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali;
b)
degli ordinamenti didattici dei corsi di diploma universitario e di
formazione post - base;
c)
degli specifici codici deontologici.
E tutto ciò,
precisa ancora espressamente la legge, nel reciproco rispetto delle specifiche
competenze professionali tra questi professionisti e gli altri professionisti
medici e non, della Sanità.
Con recente legge
10/08/2000, n. 251 "disciplina delle professioni sanitarie
infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché
della professione ostetrica", si è incisivamente proseguito nel processo
di "professionalizzazione",
a)
dichiarando in modo espresso il principio dell'autonomia professionale
nello svolgimento delle attività professionali;
b)
riconoscendo anche per queste professioni la nuova qualifica di
dirigente del ruolo sanitario, formata attraverso uno specifico percorso
universitario post - diploma;
c)
dando alle Aziende Sanitarie la possibilità di istituire lo specifico
servizio di assistenza infermieristica ed ostetrica, diretto da un dirigente
con incarico triennale rinnovabile, appartenente alle professioni sanitarie di
cui alla legge stessa.
Doveri, Responsabilità
e Diritti dei dipendenti pubblici
Doveri,
responsabilità e diritti dei pubblici dipendenti hanno regole generali comuni
a tutti i pubblici dipendenti, e regole particolari relative a ciascun settore
di attività della Pubblica Amministrazione. Questa materia ha le sue regole
nella Costituzione, in diverse leggi ed altri atti normativi, nei codici
civile e penale, nei contratti collettivi.
I Doveri del dipendente in generale.
Ricordiamo
anzitutto il dovere costituzionale della Pubblica Amministrazione di garantire
il buon andamento e l’imparzialità
del suo agire (articolo 97); ne abbiamo già parlato in precedenza; è un
dovere forte che incombe su tutti i soggetti impegnati nella pubblica
amministrazione e quindi, in primo luogo, sui suoi dipendenti.
Inoltre, la
riforma del pubblico impiego (Decreto Legislativo n. 29 del 1993, articoli 58
bis e 59) ha stabilito che la definizione dei doveri del dipendente spetta
a)
al così detto “Codice di
comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”, adottato
dalla Funzione Pubblica, per tutte le pubbliche amministrazioni;
b)
ai “Codici di comportamento di ciascuna amministrazione”, che
integrano i primi adattandoli alla realtà di ciascuna amministrazione;
c)
agli specifici elenchi dei doveri che si trovano nei contratti
collettivi nazionali di lavoro.
Abbiamo quindi 3
livelli di regole:
a)
regole generali, valevoli per tutti i pubblici dipendenti,
indistintamente;
b)
regole che integrano le prime, valevoli sono nelle singole
amministrazioni;
c)
regole contrattuali per ogni comparto di contrattazione, valevoli
rispettivamente per i dipendenti di ciascun comparto.
Nel concreto, il
Codice di comportamento della Funzione Pubblica, già emanato con Decreto
Ministeriale del 31 marzo 1994; è stato recentemente sostituito da un Decreto
del Ministro per la Funzione Pubblica, firmato il primo dicembre 2000; le
regole contrattuali relative al contratto Sanità si trovano nell’articolo
28 del CCNL del 1995, ancora in vigore per questa parte; pochissime
amministrazioni, a quanto risulta, hanno varato un proprio codice integrativo
di comportamento.
La privacy e il segreto nell'esercizio professionale.
Il segreto
d’ufficio è un dovere particolarmente delicato ed importante anche perché
esso, nel nostro caso di lavoratori che operano in un ambito delicato coma la
Sanità, si collega fortemente al dovere di tutelare la riservatezza (privacy)
della persona ricoverata, ai sensi della nota e così detta “legge sulla
privacy”, n. 675 del 1996.
Il dovere del
segreto è previsto, per i dipendenti pubblici, dal contratto collettivo e da
una specifica norma di legge, l’articolo 28 della legge n. 241 del 1990, che
ha sostituito l’articolo 15 del Decreto del Presidente della Repubblica
(DPR) n. 3 del 1957: “L’impiegato deve mantenere il segreto d’ufficio.
Non può trasmettere a chi non ne abbia diritto informazioni riguardanti
provvedimenti od operazioni amministrative, in corso o in conclusione, ovvero
notizie di cui sia venuto a conoscenza a causa delle sue funzioni, al di fuori
delle ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto di accesso.
Nell’ambito delle proprie attribuzioni, l’impiegato preposto ad un ufficio
rilascia copie ed estratti di atti e documenti di ufficio nei casi non vietati
dall’ordinamento.”.
Come si può
constatare, si tratta di una norma che ha prevalentemente di vista le attività
burocratiche ma che si riferisce sostanzialmente anche ai dipendenti che
svolgono attività materiali, non burocratiche (che il linguaggio del diritto
amministrativo chiama “operazioni amministrative”).
Il segreto
professionale in generale trova poi specifica tutela nel codice penale,
all'articolo 622 (Rivelazione di segreto professionale), che punisce la
rivelazione del segreto professionale senza giusta causa o l'impiego dello
stesso a proprio o altrui profitto.
Abbiamo detto che
il dovere del segreto si connette al dovere di tutelare la riservatezza
(privacy) della persona ricoverata, ai sensi della legge sulla privacy. E
peraltro tanto la violazione del segreto d’ufficio che quella della
riservatezza possono comportare anche sanzioni penali. È quindi opportuno
parlare anche della legge sulla privacy. La legge 675 del 31 dicembre 1996,
nota appunto come "legge sulla privacy", attua una direttiva
europea, volta a garantire che la raccolta, la registrazione,
l’elaborazione, la comunicazione e la diffusione dei dati delle persone
(definiti dalla legge con l’unico termine di “trattamenti dei dati”) da
parte di enti pubblici e soggetti privati, avvenga nel rispetto della dignità
delle persone, con particolare riferimento alla riservatezza ed alla identità
personale.
·
Le
definizioni della legge
L'articolo 1 della legge riporta tutte le necessarie
definizioni:
Art. 1.
Finalità e definizioni.
1.
La
presente legge garantisce che il trattamento dei dati personali
si svolga nel rispetto dei
diritti, delle libertà fondamentali, nonché
della dignità delle persone fisiche, con particolare riferimento alla
riservatezza e all'identità personale; garantisce altresì i diritti delle
persone giuridiche e di ogni altro ente o associazione.
2.
Ai fini
della presente legge si intende:
a)
per
<<banca di dati>>, qualsiasi complesso di dati personali,
ripartito in una o più unità dislocate in uno o più siti, organizzato
secondo una pluralità di criteri determinati tali da facilitarne il
trattamento;
b)
per
<<trattamento>>, qualunque operazione o complesso di operazioni,
svolti con o senza l'ausilio di mezzi elettronici o comunque automatizzati,
concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione,
l'elaborazione, la modificazione, la
selezione, l'estrazione,
il raffronto,
l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la
diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati;
c)
per
<<dato personale>>, qualunque informazione relativa a persona
fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a
qualsiasi altra
informazione, ivi compreso
un numero
di identificazione personale;
d)
per
<<titolare>>, la persona fisica, la persona giuridica, la pubblica
amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od organismo cui
competono le decisioni in ordine alle finalità ed alle modalità del
trattamento di dati personali, ivi compreso il profilo della sicurezza;
e)
per
<<responsabile>>, la persona fisica, la persona giuridica, la
pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od organismo
preposti dal titolare al trattamento di dati personali;
f)
per
<<interessato>>, la persona fisica, la persona giuridica, l'ente o
l'associazione cui si riferiscono i dati personali;
g)
per
<<comunicazione>>, il dare conoscenza dei dati personali a uno o
più soggetti determinati diversi dall'interessato, in qualunque forma, anche
mediante la loro messa a disposizione o consultazione;
h)
per
<<diffusione>>, il dare conoscenza dei dati personali a soggetti
indeterminati, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione
o consultazione;
i)
per
<<dato anonimo>>, il dato che in origine, o a seguito di
trattamento, non può essere associato ad un interessato identificato o
identificabile;
l)
per
<<blocco>>, la conservazione di dati personali con sospensione
temporanea di ogni altra operazione del trattamento;
m)
per
<<Garante>>, l'autorità istituita ai sensi dell'articolo 30. Per
"trattamento dei dati personali" deve intendersi la raccolta, la
registrazione, l'organizzazione, la conservazione, l'elaborazione, la
modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto, l'utilizzo,
l'interconnessione, il blocco, la comunicazione e la distruzione dei dati
personali.
Della figura del
Responsabile e dell'incaricato dei dati parla il successivo articolo 8:
Art. 8.
Responsabile.
1.
Il
responsabile, se designato, deve essere nominato tra soggetti che per
esperienza, capacità ed affidabilità forniscano idonea garanzia del pieno
rispetto delle vigenti disposizioni in materia di trattamento, ivi compreso il
profilo relativo alla sicurezza.
2.
Il responsabile procede al trattamento attenendosi alle
istruzioni impartite dal titolare il quale, anche tramite verifiche
periodiche, vigila sulla puntuale osservanza delle disposizioni di cui al
comma 1 e delle proprie istruzioni.
3.
Ove
necessario per esigenze organizzative, possono essere designati responsabili
più soggetti, anche mediante suddivisione di compiti.
4.
I
compiti affidati al responsabile devono essere analiticamente specificati per
iscritto.
5.
Gli
incaricati del trattamento devono elaborare i dati personali ai quali hanno
accesso attenendosi alle istruzioni del titolare o del responsabile.
Nella realtà
sanitaria, potrebbero essere:
Titolare l'Azienda e chi la rappresenta o anche, in qualità di
contitolare, il presidio o le direzioni sanitaria ed amministrativa;
Responsabile, il dirigente
con funzioni di direzione ed organizzazione della struttura cui è preposto;
Incaricato il professionista
che tratta i dati, personali e sensibili, per porre in essere prestazioni
sanitarie: vale a dire, i medici, gli infermieri, le ostetriche e gli altri
professionisti individuati dal responsabile, dal quale riceveranno apposite
istruzioni.
·
I
tipi di dati trattati
La legge 675/1996
ha suddiviso le informazioni sulle persone fisiche in due categorie:
dati personali, che sono tutte le informazioni che
consentono l'identificazione della persona sia direttamente (es. dati
anagrafici) sia indirettamente (es. immagini, registrazioni audio e video,
ecc.);
dati sensibili (articolo 22, comma 1 della legge 675/1996),
che riguardano la sfera di intimità della persona: razza, religione, sesso,
politica, salute).
·
Informativa
e consenso
L'articolo 10
della legge 675/1996 prevede l'obbligo del titolare di fornire all'interessato
informazioni, scritte o orali sul trattamento dei dati che lo riguardano, per
consentirgli l'esercizio dei diritti che gli sono riconosciuti. L'interessato
deve dare in modo espresso e formale il consenso al trattamento dei dati. Nei
casi d'urgenza informativa e consenso possono intervenire dopo la richiesta di
prestazione mentre nei casi in cui l'interessato sia impossibilitato a
prestare il consenso, questo può essere prestato da un congiunto o convivente
o da chi esercita la potestà (Decreto Legislativo 282 del 30 luglio 1999).
·
L’infermiere
e il trattamento dei dati.
·
L’infermiere,
al pari di altri professionisti non medici, è legittimamente autorizzato a
trattare i dati personali e i dati sensibili della persona alla quale eroga
assistenza, sulla base dei presupposti normativi di seguito indicati.
·
L’infermiere
viene "incaricato" del trattamento dei dati personali, ai sensi
degli articoli 8 e 19 delle legge 675/1996.
·
L’infermiere,
in qualità di "esercente una professione sanitaria (legge 42/1999), può
trattare i dati personali sensibili senza l'autorizzazione del Garante e
limitatamente ai dati ed alle operazioni indispensabili per il perseguimento
di finalità di tutela dell'incolumità fisica e della salute della persona
assistita, ai sensi dell'articolo 23 della legge 675/1996.
·
L’infermiere,
in quanto "incaricata/o di pubblico servizio" ai sensi dell'articolo
326 del codice penale, può trattare i dati personali della persona assistita
per lo svolgimento di finalità istituzionali, ai sensi dell'articolo 27 della
legge 675/1996. Sempre come "incaricato di pubblico servizio" è
anche tenuta/o al rispetto del segreto d'ufficio in virtù della possibilità
di acquisire notizie durante l'espletamento delle proprie funzioni. Nel
rapporto di natura professionale con la persona assistita, è tenuta/o al
rispetto del "segreto professionale" ai sensi dell'articolo 622 del
codice penale.
·
Come
devono essere trattati i dati personali
·
In modo
lecito e secondo correttezza (articolo 9 della legge 675/1996), nel rispetto
della normativa e della dignità della persona, per scopi determinati,
espliciti;
·
in modo
che siano raccolti solo i dati essenziali per svolgere le attività
istituzionali che non possono essere adempiute mediante il trattamento di dati
anonimi o di dati personali di diversa natura (articolo 3, comma 1 del Decreto
Legislativo 135/1999); ciò significa che L’infermiere
deve dichiarare alla persona interessata gli scopi per i quali raccoglie le
informazioni;
·
in modo
che siano sempre esatti e, se necessario, aggiornati; è nel diritto
dell'interessato pretendere ed ottenere l'aggiornamento, la rettifica o
l'integrazione dei dati (articolo 13, comma 1, punto 3 della legge 675/1996).
·
Come
devono essere conservati i dati
·
La
conservazione dei dati deve avvenire in una forma che consenta
l'identificazione dell'interessato solo fino a quando serve; per cui, dopo la
dimissione eventuali trattamenti dovranno avvenire in forma anonima (es. a
fini statistici e di ricerca);
·
va
inoltre eseguita con estrema cura nei reparti o negli archivi; nel caso di
dati su archivi informatici, deve essere prevista una password (procedura
d’accesso) per ogni incaricato al trattamento dei dati; i dati sensibili
(salute e sesso) devono essere conservati separatamente e opportunamente
cifrati o codificati, in modo da consentire l'identificazione degli
interessati nei soli casi di necessità.
·
Comunicazione
e diffusione dei dati personali
La legge 675/1996
definisce
La comunicazione come "il dare conoscenza dei dati
personali ad uno o più soggetti determinati diversi dall'interessato, in
qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione
(articolo 1, comma 2, lettera g);
La diffusione come "il dare conoscenza dei dati personali a
soggetti indeterminati, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a
disposizione o consultazione".
·
La
comunicazione
La comunicazione
può avvenire solo con il consenso scritto dell'interessato (articolo 19 legge
675/1996). Il personale ostetrico può comunicare dati personali a terzi,
nell'ambito della salvaguardia dell'incolumità fisica e della salute della
persona, per fini istituzionali e in qualità di incaricati.
Comunicazione a familiari e conoscenti
dell'interessato. Il Garante ha stabilito che è consentito comunicare la presenza
dell'interessato in ospedale (se e dove è ricoverato), salvo suo preventivo
ed esplicito dissenso (così anche la Carta dei Servizi Sanitari). Un limite a
questo tipo di informazione potrebbe sussistere rispetto all'indicazione della
struttura di degenza se in questo modo si possa risalire al problema di salute
dell'interessato. È per esempio il caso delle malattie infettive o di altri
reparti specialistici medico chirurgici, dove sia relativamente semplice
risalire alla diagnosi di ingresso. Non è poi contrario allo spirito della
legge comunicare informazioni relative alla presenza dell'interessato in
ospedale, per telefono.
·
Divieti
di comunicazione.
Restano in ogni
caso in vigore il divieto di comunicare i dati personali relativi
·
Alla
donna che non riconosce il proprio figlio (legge del 1939)
·
Alla
persona HIV positiva e affetta da sindrome immunodeficitaria (legge 135/1990)
·
Alla
persona vittima di violenza sessuale (articolo 734 bis del codice penale)
·
Alla
donna che si è sottoposta ad interruzione di gravidanza (legge 194/1978)
·
È
inoltre vietato comunicare a terzi (siano essi anche familiari) i dati
personali sensibili, salvo che l'interessato non abbia preventivamente
espresso il proprio consenso scritto.
·
Diffusione
dei dati personali
La diffusione dei
dati personali è consentita alle stesse condizioni disciplinate per la
comunicazione (articolo 20 della legge 675/1996). È vietata la diffusione dei
dati sensibili relativi alla salute, salvo nel caso in cui sia necessaria per
finalità di prevenzione, accertamento o repressione dei reati (articolo 23,
comma 4 della legge 675/1996).
Altri
comportamenti vietati, correlati alla comunicazione o alla diffusione dei dati
sensibili
Non vanno più
utilizzate le schede posizionate ai piedi del letto dell'interessato, sulle
quali vengono annotati dati di carattere sanitario; diversamente si commette
un reato.
Non vanno
assolutamente abbandonate in giro le cartelle cliniche e non vanno fatte
circolare affidandole a personale ausiliario ma, ove possibile, nelle mani
dell'interessato o degli incaricati allo scopo designati.
·
Comunicazione
dei dati sanitari all'interessato
L'articolo 23,
comma 2 della legge 675/1996, dice che "i dati personali idonei a
rivelare lo stato di salute possono essere resi noti all'interessato solo per
il tramite di un medico designato dall'interessato o dal titolare".
Questa disposizione molto rigida è stata poi rettificata dal Decreto
Legislativo 135/1999 laddove in via generale ha stabilito che il trattamento
dei dati sanitari è oggetto dei codici deontologici delle professioni
sanitarie (articolo 17, comma 3). Pertanto, in linea di principio
l'interessato potrà ricevere informazioni di carattere sanitario anche da
altri professionisti sanitari, purchè siano strettamente inerenti lo
specifico campo disciplinare della professione esercitata.
Come detto poco
sopra, vale la pena ribadire che è vietato comunicare a terzi (siano essi
anche familiari) i dati personali sensibili, salvo che l'interessato non abbia
preventivamente espresso il proprio consenso scritto.
La responsabilità civile, penale ed amministrativa.
Dalla violazione
dei propri doveri può derivare una responsabilità a carico del dipendente.
Abbiamo detto che le regole sulla responsabilità risiedono nella
Costituzione, in altre norme e nei contratti.
·
L’articolo
28 della Costituzione dice che “i funzionari e i dipendenti dello Stato e
degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali,
civili ed amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In
tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato ed agli enti
pubblici”.
·
L’articolo
59 del Decreto Legislativo n. 29 del 1993 (riforma del pubblico impiego),
prevede che per i dipendenti pubblici “resta ferma la disciplina attualmente
vigente in materia di responsabilità civile, amministrativa, penale e
contabile …. .”.
·
Gli
articoli da 18 a 30 del Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) n. 3 del
1957 (Statuto degli impiegati civili dello Stato) si occupano in modo più
preciso della responsabilità del dipendente pubblico verso
l’amministrazione e verso altri soggetti ad essa estranei (i terzi).
·
I
contratti collettivi nazionali di lavoro descrivono i casi di responsabilità
disciplinare e le relative sanzioni.
Dalle norme sopra
citate si evince che il dipendente pubblico può essere soggetto a tre tipi di
responsabilità: civile, penale ed amministrativa.
1) La
responsabilità civile si ha quando il dipendente, esercitando le proprie
funzioni, causa ad altri un danno ingiusto. In questo caso tanto il
dipendente, quanto l’amministrazione, sono obbligati a risarcire il danno;
se paga l’amministrazione, dovrà poi rivalersi sul dipendente.
Bisogna però dire che non in tutti i casi scatta l’obbligo di risarcire il danno, ma solo quando il danno provocato dal dipendente derivi dal suo comportamento doloso o gravemente colposo. Il comportamento doloso si ha quando il dipendente ha voluto il comportamento illegale posto in essere; il comportamento colposo si ha quando il dipendente ha agito con imprudenza, negligenza, imperizia non ammissibile. La gravità della colpa si collega al grado di imprudenza, negligenza, imperizia dimostrate nella concreta circostanza, alla rilevanza degli obblighi o dei diritti violati, alla posizione di lavoro dal medesimo occupata, alla entità del danno provocato.
2) La
responsabilità penale sorge quando il dipendente commette reati a causa o
nell’esercizio delle sue funzioni. È comunque penalmente responsabile il
dipendente che commette reato per disposizione di un superiore, in quanto la
legge vieta espressamente al dipendente di eseguire l’ordine contrario alla
legge penale.
È noto che gran
parte delle norme penali sono descritte nel codice penale; una parte di questo
codice è specificamente dedicata ai reati commessi da chi è pubblico
dipendente ed esercita una pubblica funzione (il codice parla di pubblici
ufficiali e di incaricati di pubblico servizio).
Tra i reati di
cui si sente più parlare vi sono il peculato, la concussione, la corruzione,
l’abuso di ufficio, la rivelazione di segreti d’ufficio, il rifiuto di
atti di ufficio, l’interruzione di pubblico servizio.
3) La
responsabilità amministrativa è quella che sorge nei confronti della
pubblica amministrazione e si articola nelle due forme della responsabilità
disciplinare e della responsabilità contabile.
La responsabilità disciplinare.
Abbiamo in
precedenza parlato dei doveri del pubblico dipendente, descritti nel codice di
comportamento e nei contratti collettivi nazionali di lavoro. La violazione
dei doveri determina la responsabilità disciplinare, con la conseguente
apertura di un procedimento disciplinare che, generalmente, si conclude con
l’inflizione di una sanzione disciplinare.
Anche le
sanzioni disciplinari sono previste dai contratti collettivi nazionali di
lavoro; in particolare, sono previsti cinque tipi di sanzione, collegate alla
diversa importanza e gravità delle infrazioni commesse; esaminiamole
brevemente.
1.
Il
rimprovero verbale.
È una sanzione minima, per trasgressioni di modestissima entità;
2.
Il
rimprovero scritto.
È una dichiarazione scritta di biasimo per trasgressioni di lieve entità.
3.
La
multa. È
una sanzione pecuniaria, di importo non superiore a quattro ore di stipendio.
4.
La
sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino ad un massimo di dieci giorni. È una sanzione che comporta
l’allontanamento dal lavoro e la perdita dello stipendio per massimo dieci
giorni.
5.
Il
licenziamento.
È la sanzione più grave e può essere con o senza preavviso; essa interrompe
e chiude il rapporto di lavoro.
Nel contratto
collettivo sono descritti i casi (le ipotesi di infrazione) di violazione dei
doveri che, se si verificano, fanno scattare il procedimento disciplinare;
questi casi sono stati divisi in quattro gruppi; il primo gruppo include i
casi meno gravi, punibili con le sanzioni meno gravi che vanno dal rimprovero
verbale alla multa; e così via, fino ai gruppi di casi più gravi, puniti con
il licenziamento. A questo proposito, è allegato a questi appunti uno schema
dei quattro gruppi di casi (o ipotesi di infrazione).
Il procedimento disciplinare.
Abbiamo detto che
la violazione dei doveri del dipendente comporta la responsabilità
disciplinare e l’avvio del procedimento disciplinare, che si svolge secondo
queste fasi:
1.
contestazione degli addebiti disciplinari da parte dell’ufficio
disciplinare dell’azienda;
2.
convocazione scritta del lavoratore incolpato, per la difesa;
3.
decisione disciplinare, che può essere l’inflizione di una sanzione
disciplinare o la chiusura del procedimento quando l’ufficio disciplinare
ritiene che non vi siano le ragioni per procedere disciplinarmente verso il
lavoratore.
Il procedimento
disciplinare deve concludersi entro 120 giorni dalla contestazione degli
addebiti, altrimenti si estingue.
Il lavoratore
sotto procedimento disciplinare ha diritto di vedere e copiare tutti gli atti
del procedimento (diritto di accesso) e può farsi difendere anche da un
procuratore (avvocato o non ) o da un rappresentante del sindacato al quale è
iscritto o, pur non essendo iscritto, conferisce l’incarico di difenderlo.
Una ulteriore
forma di responsabilità verso l’amministrazione (responsabilità
amministrativa) nasce quando l’amministrazione riceve un danno dal
comportamento contrario ai doveri, tenuto dal dipendente: si tratta della così
detta “responsabilità per danno erariale”. Da questa responsabilità
nasce un procedimento svolto non dall’amministrazione interessata, ma dalla
Corte dei Conti.
I diritti del dipendente.
Accanto ai doveri
ed alle responsabilità vi sono, naturalmente, una serie di diritti del
dipendente, stabiliti sempre dalle norme e dai contratti. Vediamo i principali
diritti, partendo da quelli di carattere più generale.
Il diritto allo stipendio.
Si tratta di una prestazione periodica in danaro, che la pubblica
amministrazione deve al dipendente per il fatto che questi presta il suo
lavoro per lei.
Il diritto ai così detti trattamenti economici
accessori.
Sono sempre prestazioni in danaro ma non periodiche, collegate alla
produttività individuale, collettiva (la così detta incentivazione) o allo
svolgimento di attività disagiate o pericolose (le così dette indennità).
Il diritto alla funzione.
Consiste nel diritto di esercitare le funzioni proprie del profilo
professionale posseduto. La riforma del pubblico impiego (Decreto Legislativo
n. 29 del 1993, articolo 56), prevede infatti che il lavoratore deve essere
adibito:
·
alle
mansioni per le quali è stato assunto;
·
alle
mansioni considerate equivalenti nell’ambito della classificazione
professionale;
·
alle
mansioni corrispondenti alla qualifica superiore, purché questa sia stata
successivamente conseguita per effetto dello sviluppo professionale, di
concorsi o selezioni;
·
alle
mansioni immediatamente superiori, nel caso di vacanza del posto in organico o
di sostituzione del dipendente assente per motivi diversi dalle ferie, per
tempo determinato.
L’assegnazione
a mansioni superiori comporta sempre il diritto alla relativa differenza di
stipendio. Ma in nessun caso, a differenza che per il privato, l'assegnazione
alle mansioni superiori può divenire definitiva; in questo, non c’è stata
privatizzazione.
La legge 8 marzo 2000, n. 53 "Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città".
Con la legge n.
53/2000 sono stati modificate ed aggiornate alcune norme relative alla tutela
della maternità, all'assistenza dei portatori di handicap, alle assenze dal
lavoro per motivi familiari. La stessa legge ha anche specificato che sono
salvaguardate le condizioni di maggior favore eventualmente previste dai
contratti collettivi. Tali condizioni riguardano, principalmente, la
retribuzione delle assenze.
I diritti legati alla tutela delle lavoratrici madri.
Si tratta della
famosa legge n. 1204 del 30 dicembre 1971, modificata ed integrata, come ora
detto, dalla legge n. 53/2000. Questa legge prevede, in sintesi:
·
il
diritto della lavoratrice madre, di astenersi dal lavoro, obbligatoriamente e
facoltativamente, prima e dopo il parto, entro certi limiti di tempo, con
diritto alla conservazione del posto ed allo stipendio in tutto o in parte; la
legge n. 53/2000 ha, fra l'altro, esteso il diritto di astensione facoltativa
ad entrambi i genitori e sino all'ottavo anno di vita del bambino;
·
il
diritto alla conservazione delle ferie non godute;
·
il
diritto a non essere licenziata, dall’inizio della gestazione e fino alla
fine del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro dopo il parto;
·
il
diritto a non essere adibita a lavori pesanti, pericolosi od insalubri durante
la gestazione e fino a 7 mesi dopo il parto.
Diritti di assentarsi dal lavoro per varie ragioni.
Sono diritti
previsti e regolati, per lo più, dai contratti collettivi nazionali di
lavoro. Si tratta dei permessi retribuiti (per partecipare a concorsi, esami,
corsi, per lutto, per matrimonio, ecc.); dei permessi brevi, delle assenze per
malattia e delle aspettative, del diritto alla conservazione del posto ed allo
stipendio per malattie od infortuni sul lavoro, ecc.
Di particolare
rilevanza sociale il diritto ai permessi mensili (3 giorni il mese) per
assistere persone portatrici di handicap (si tratta della nota legge n. 104
del 1992 sulla tutela degli handicap).
Da menzionare
anche il così detto diritto allo
studio, disciplinato dal Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) n.
395 del 1988; si tratta di permessi retribuiti che la pubblica amministrazione
può concedere, per un massimo di 150 ore l’anno, per la frequenza di corsi
universitari, post universitari o scolastici e di qualificazione
professionale; di rilievo, poi, il diritto alla formazione previsto dalla
legge n. 53/2000 in complessivi 11 mesi nell'arco della vita lavorativa del
dipendente.
Il diritto di sciopero e i diritti sindacali.
È noto che a
seguito della privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego, si
applica anche a quest’ultimo lo Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del
1970). L’articolo 28 dello Statuto estende al pubblico impiego la tutela
giurisdizionale (possibilità di ricorrere al giudice) del libero esercizio
dell’attività sindacale e del diritto di sciopero. I sindacati possono
infatti ricorrere al giudice contro l’eventuale comportamento antisindacale
del datore di lavoro pubblico.
Lo Statuto dei
lavoratori ha anche importato nella pubblica amministrazione ulteriori diritti
collegati alla libertà individuale e sindacale del lavoratore: la libertà di
opinione, il diritto di associazione e di attività sindacale e i diritti
collegati (di assemblea, di affissione, a permessi retribuiti e non, ecc.);
diritti che sono stati meglio specificati nei contratti collettivi nazionali
di lavoro.
Per quanto
riguarda, in particolare, il diritto di sciopero, si tratta di un diritto
previsto dalla Costituzione (articolo 40) e attualmente regolamentato con la
legge n. 146 del 1990.
Questa legge ha
dettato le regole per rendere l’esercizio del diritto di sciopero nei
servizi pubblici essenziali, compatibile con i diritti fondamentali di tutti i
cittadini, tutelati dalla Costituzione, tra i quali anche il diritto alla
salute.
A questo fine le
pubbliche amministrazioni concordano con i sindacati e le associazioni degli
utenti le prestazioni indispensabili che devono comunque essere assicurate in
caso di sciopero; prevedendo, di conseguenza, obblighi di preavviso dello
sciopero e di preventiva informazione all’utenza.
Sono infine
previste sanzioni per chi non rispetta la legge.
I diritti dei cittadini e la legge regionale n. 27
del 20 maggio 1987.
Una vera e
propria valanga di regole, soprattutto nell’ultimo decennio, ha posto
l’attenzione sul cittadino utente, come individuo e come componente di
organizzazioni di cittadini e utenti.
Questo fatto è
in linea con il grande processo di riforma della pubblica amministrazione,
praticamente avviato nell’ultimo decennio, con l’obiettivo di rendere la
pubblica amministrazione più efficiente ed orientata ai bisogni del cittadino
utente, sino al suo coinvolgimento nelle attività dell’amministrazione.
Esaminiamo i
principali momenti di questo processo di riforma.
Innanzitutto, la
famosa legge n. 241 del 1990, che
ha stabilito e regolato il diritto dei cittadini di vedere i documenti della
pubblica amministrazione (diritto di accesso) e di partecipare, come singoli o
come associati, ai procedimenti amministrativi di loro interesse, fino a poter
fare accordi con la pubblica amministrazioni, che prendono il posto dei
provvedimenti della stessa.
Le Carte dei servizi pubblici.
Nel 1994 venne approvata una direttiva del governo che obbligava i gestori dei
servizi pubblici a adottare una propria “Carta dei servizi”, a tutela dei
diritti degli utenti; una tutela intesa non solo come riconoscimento di
garanzie per il cittadino, ma come attribuzione allo stesso del potere di
controllare direttamente la qualità dei servizi erogati dalle pubbliche
amministrazioni.
La Carta dei servizi sanitari.
Nel 1995 venne adottata la “Carta dei servizi sanitari” (Decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri 19 maggio 1995) che dette delle regole
generali di riferimento per le “Carte dei servizi aziendali”. Questa Carta
indicò anche le iniziative che le aziende sanitarie dovevano adottare per
favorire “l’interazione tra ente pubblico erogatore di servizi ed
utenza”, fra le quali l’adozione di un “regolamento dei diritti e dei
doveri dell’utente malato”, secondo lo schema riportato nella stessa Carta
ed allegato a questi appunti.
La Carta
riportava inoltre diversi altri allegati, relativi a schemi di opuscoli e di
schede informative per l’utente, sulla struttura ospedaliera e sul reparto;
e relativi a questionari sulla soddisfazione dell’utente.
Gli Uffici per le Relazioni con il Pubblico (URP).
La riforma del pubblico impiego (Decreto Legislativo n. 29 del 1993) ne parla in uno specifico articolo, il 12, e li descrive come un vero e proprio canale di comunicazione con i cittadini, che deve assicurare:
·
i
diritti di partecipazione di cui alla citata legge n. 241 del 1990;
·
l’informazione
all’utenza sui procedimenti amministrativi;
·
l’attuazione
di iniziative di comunicazione che servano a far conoscere ai cittadini le
norme, le strutture ed i servizi erogati;
·
la
promozione di iniziative per migliorare i servizi per il pubblico, la
semplificazione delle procedure ed il miglioramento delle modalità del
diritto di vedere e fare copia (diritto di accesso) dei documenti della
pubblica amministrazione.
Lo stesso
articolo prevede anche che di questi uffici facciano parte persone
specificamente qualificate e formate e con specifica attitudine ai rapporti
con il pubblico.
La partecipazione e la tutela dei cittadini nella riforma sanitaria.
A questa materia
la riforma sanitaria vigente dedica un intero articolo, il 14, che si intitola
appunto “Diritti dei cittadini”. Questo articolo, ispirandosi in parte
anche alla Carta dei servizi sanitari, prevede fra l’atro che:
A)
le regioni
·
verifichino
lo stato di attuazione dei diritti dei cittadini;
·
promuovano
consultazioni con i cittadini, singoli o organizzati, con i sindacati, con il
volontariato, per raccogliere informazioni sull’organizzazione dei servizi;
·
devono
comunque sentire questi soggetti in fase di programmazione e verifica dei
risultati conseguiti e in fase di discussione di provvedimenti
sull’organizzazione dei servizi;
·
promuovano,
in particolare, forme di partecipazione delle organizzazioni dei cittadini e
del volontariato impegnato in sanità, nelle attività relative alla
programmazione, al controllo ed alla valutazione dei servizi sanitari a
livello regionale, aziendale e distrettuale;
·
determinino
le modalità della presenza del volontariato presso le aziende sanitarie.
B) Le USL e le
Aziende Ospedaliere
·
stipulino
accordi e protocolli con gli organismi di volontariato e tutela dei diritti,
per stabilire le modalità della loro collaborazione;
·
concordino
con gli stessi organismi, programmi comuni per l’adeguamento delle strutture
e delle prestazioni alle esigenze dei cittadini;
·
diano
vita ad un’efficace informazione ai cittadini sulle prestazioni erogate,
sulle relative tariffe e sulle modalità di accesso;
·
facciano
procedure di raccolta dei reclami e di gestione dei disservizi;
·
promuovano
la formazione del personale a contatto con il pubblico, sull’argomento della
tutela dei diritti dei cittadini.
Come si vede,
l’attenzione delle regole verso i diritti e la partecipazione dei cittadini
è ampia, articolata e concreta. È evidente il salto di qualità rispetto
alla riforma sanitaria del 1978, che più genericamente riconosceva alle sole
associazioni di volontariato la possibilità di “concorrere ai fini
istituzionali del SSN” attraverso la stipula di apposite convenzioni con le
USL, nell’ambito delle leggi e della programmazione regionale (articoli 1 e
45).
La legge regionale 20 maggio 1987, n. 27.
Questa legge
regionale è il frutto della collaborazione con le associazioni di
volontariato e del Tribunale per i diritti del Malato in particolare ed è
molto importante perché dà per la prima volta ai diritti dell’utente la
dignità della legge, che vincola le USL.
Vediamo i
passaggi principali di questa legge.
·
Obbligo
degli operatori di tenere comportamenti che non inducano in stato di
soggezione l’utente;
·
obbligo
degli operatori di portare i cartellini di riconoscimento;
·
diritti
degli utenti – pazienti:
·
a
ricevere le informazioni essenziali sui servizi e quelle relative allo stato
di salute, alla diagnosi, alla terapia, alla prevedibile durata della degenza,
agli eventuali trasferimenti in altri presidi;
·
a
esprimere il preventivo consenso sui trattamenti e sugli interventi;
·
a
ricevere le visite negli orari stabiliti, che devono essere compatibili con le
consuetudini di vita;
·
a
riunirsi per discutere dei problemi che riguardano la loro condizione di
ricoverati;
·
a
ricevere rispetto per il pudore e la riservatezza;
·
a
ricevere rispetto per le esigenze del minore ricoverato, facilitando la
presenza dei genitori nella assistenza dei figli ricoverati e fornendo loro
costanti informazioni sullo stato di salute, sugli atti cui i figli saranno
sottoposti e sul loro significato.
Considerazione finale.
Come abbiamo
visto, il quadro dei diritti dei cittadini utenti è attualmente complesso e
frammentato in una pluralità di fonti e meccanismi, peraltro non sempre
attuali; il che non ne rende facile l’attuazione e la conoscenza da parte
dei cittadini stessi e, soprattutto, da parte degli operatori chiamati al loro
rispetto.
È quindi
auspicabile una riorganizzazione di queste regole, confidando, nel frattempo,
sulla sensibilità, sulla deontologia e sull’etica professionale degli
operatori delle nostre organizzazioni.
Carta dei Servizi Sanitari - Allegato 7
Regolamento
dei diritti e dei doveri dell'Utente malato
I
DIRITTI
Art. 1
Il paziente ha diritto di essere assistito e curato con premura ed attenzione, nel rispetto della dignità umana e delle proprie convinzioni filosofiche e religiose
Art. 2
In particolare, durante la degenza ospedaliera ha diritto ad essere sempre individuato con il proprio nome e cognome anziché, secondo una prassi che non deve essere più tollerata, col numero o col nome della propria malattia
Ha, altresì, diritto di essere interpellato con la particella pronominale "Lei".
Art. 3
Il paziente ha diritto di ottenere dalla struttura sanitaria informazioni relative alle prestazioni dalla stessa erogate , alle modalità di accesso ed alle relative competenze.
Lo stesso ha il diritto di poter identificare immediatamente le persone che lo hanno in cura.
Art.
4
Il paziente ha diritto di ottenere dal sanitario che lo cura informazioni complete e comprensibili in merito alla diagnosi della malattia, alla terapia proposta e alla relativa prognosi.
Art. 5
In particolare, salvo i casi di urgenza nei quali il ritardo possa comportare pericolo per la salute, il paziente ha diritto di ricevere le notizie che gli permettano di esprimere un consenso effettivamente informato prima di essere sottoposto a terapie od interventi; le dette informazioni debbono concernere anche i possibili rischi o disagi conseguenti al trattamento.
Ove il sanitario raggiunga il motivato convincimento dell'inopportunità dr una informazione diretta, la stessa dovrà essere fornita, salvo espresso diniego del paziente, ai familiari o a coloro che esercitano potestà tutoria.
Art. 6
Il paziente ha, altresì, diritto di essere informato sulla possibilità di indagini e trattamenti alternativi, anche se eseguibili in altre strutture.
Ove il paziente non sia in grado di determinarsi autonomamente le stesse informazioni dovranno essere fornite alle persone di cui all'articolo precedente.
Art. 7
Il paziente ha diritto di ottenere che i dati relativi alla propria malattia ed ogni altra circostanza che lo riguardi, rimangano segreti.
Art. 8
Il paziente ha diritto di proporre reclami che debbono essere sollecitamente esaminati, ed essere tempestivamente informato sull'esito degli stessi
I DOVERI
1) Il cittadino malato, quando accede in una struttura sanitaria della USL è invitato ad avere un comportamento responsabile in ogni momento, nel rispetto e nella comprensione dei diritti degli altri malati, con la volontà di collaborare con il personale medico, infermieristico, tecnico e con la direzione' della sede sanitaria in cui si trova.
2) L'accesso in ospedale o in un'altra struttura sanitaria esprime da parte del cittadino-paziente un rapporto di fiducia e di rispetto verso il personale sanitario, presupposto indispensabile per l'impostazione di un corretto programma terapeutico e assistenziale.
3) E' dovere di ogni paziente informare tempestivamente i sanitari sulla propria intenzione di rinunciare, secondo la propria volontà', a cure e prestazioni sanitarie programmate affinché possano essere evitati sprechi di tempi e risorse.
4) Il cittadino è tenuto al rispetto degli ambienti, delle attrezzature e degli arredi che si trovano all'interno della struttura ospedaliera, ritenendo gli stessi patrimonio di tutti e quindi anche propri.
5) Chiunque si trovi in una struttura sanitaria della USL (ospedale, poliambulatorio ecc..) è chiamato al rispetto degli orari delle visite stabiliti dalla Direzione Sanitaria, al fine di permettere lo svolgimento della normale attività assistenziale terapeutica e favorire la quiete il riposo degli altri pazienti. Si ricorda inoltre che per motivi igienico sanitari e per il rispetto degli altri degenti presenti nella stanza ospedaliera. è indispensabile evitare l'affollamento intorno al letto.
6)
Per motivi di sicurezza igienico-sanitari nei confronti dei bambini si
sconsigliano le visite in ospedale dei minori di anni dodici. Situazioni
eccezionali di particolare risvolto emotivo potranno essere prese in
considerazione rivolgendosi al personale medico del reparto.
7) In situazione di particolare necessità le visite al degente, al di fuori dell'orario prestabilito, dovranno essere autorizzate con permesso scritto rilasciato dal primario o da persona da lui delegata. In tal caso il familiare autorizzato dovrà uniformarsi alle regole del reparto ed avere un rispetto consono all'ambiente ospedaliero, favorendo al contempo la massima collaborazione con gli operatori sanitari.
8) Nella considerazione di essere parte di una comunità è opportuno evitare qualsiasi comportamento che possa creare situazioni di disturbo o disagio agli altri degenti (rumori, luci accese, radioline con volume alto, ecc.)
9) E' dovere rispettare il riposo sia giornaliero che notturno degli altri degenti. Per coloro che desiderino svolgere eventuali attività ricreative sono disponibili le sale soggiorno ubicate all'interno di ogni reparto.
10) In ospedale è vietato fumare. il rispetto di tale disposizione è un atto di accettazione della presenza degli altri e un sano personale stile di vivere nella struttura ospedaliera.
11) L'organizzazione e gli orari previsti nella struttura sanitaria nella quale si accede, devono essere rispettati in ogni circostanza. Le prestazioni sanitarie richieste in tempi e modi non corretti determinano un notevole disservizio per tutta l'utenza.
12) E' opportuno che i pazienti ed i visitatori si spostino all'interno della Struttura ospedaliera utilizzando i percorsi riservati ad essi, raggiungendo direttamente le sedi di loro stretto interesse.
13) Il personale sanitario, per quanto di competenza, è invitato a far rispettare le norme enunciate per il buon andamento del reparto ed il benessere del cittadino malato.
14) Il cittadino ha diritto ad una corretta informazione sull'organizzazione della struttura sanitaria, ma è anche un suo preciso dovere informarsi nei tempi e nelle sedi opportune.
Legge
26 febbraio 1999, n. 42 (in
Gazz. Uff., 2 marzo 1999, n. 50).
Disposizioni in materia di professioni sanitarie.
Legge 10 agosto 2000, n. 251
"Disciplina
delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione,
della prevenzione nonchè della professione ostetrica"
(Pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale n. 208 del 6 settembre 2000)