Raccomandazioni per la Prevenzione ed il Controllo dell’Infezione da HCV  in Dialisi con la collaborazione di

INDICE DEI CONTENUTI
Presentazione
Comitato Stesura
Glossario
 * Introduzione
Un problema nel problema
Epidemiologia
Modalità di trasmissione infezione                                  
Trasfusionale, trapianto, tossicodipendenza
Nosocomiale
Occupazionale
Sessuale
Incidenza e prevalenza
Generalità 
 Il setting della dialisi

Prevenzione
Il razionale dell’EDTNA\ERCA
Raccomandazioni per la prevenzione primaria
Generalità
Precauzioni per i tutti i pazienti: precauzioni standard
Il setting della dialisi
Precauzioni per i pazienti emodializzati: precauzioni speciali
Monitor dedicati ai pazienti HCV+
L'isolamento dei pazienti HCV+
Monitoraggio antiHCV
Raccomandazioni per gli operatori sanitari

Il rischio professionale in emodialisi
In caso di contaminazione

Cenni di terapia

 Storia naturale dell’infezione in dialisi
Chi dovrebbe essere trattato?

Appendice: Carta d'identità del virus C

 

 

EPIDEMIOLOGIA

 

Modalità di trasmissione dell’infezione

Nell’ultimo decennio la percentuale d’infezione HCV nella popolazione generale ha subito sostanziali cambiamenti in rapporto ai fattori di rischio conosciuti (Fig.1). Negli USA ad esempio la trasmissione per uso di droghe per via parenterale è la maggior causa d’infezione (Fig.1) [3]. In questo paese, sempre nella popolazione generale l’infezione da HCV può essere ricondotta ad una causa in circa il 90% dei casi:

-             60% alla tossicodipendenza

-             20% alla trasmissione sessuale

-             10% ad altre cause (nosocomiale, occupazionale, perinatale, per convivenza)

Il restante 10% dei casi non è riconducibile a nessuna possibile causa.

Trasfusionale, per trapianto, tossicodipendenza - dagli anni ’80 ad oggi il rischio di acquisire l’HCV per via trasfusionale è pressochè azzerato; si è passati da un rischio superiore al 50% nel 1985, ad uno attuale pari allo 0.001%/unità trasfusa [6]. Lo stesso dicasi per i trapianti di organi/tessuti: con il trapianto da donatori antiHCV negativi il rischio di contagio è virtualmente eliminato [3].

La tossicodipendenza per via endovenosa permane ad alto rischio. Anzi sembra accertato che con tale pratica l’infezione da HCV sia contratta più facilmente di quella da HBV e HIV: dopo 5 anni di tossicodipendenza oltre il 90% dei soggetti è antiHCV positivo [3,7]. Ciò è dovuto molto verosimilmente all’elevata prevalenza di infezione cronica tra i tossicodipendenti, che aumenta la probabilità d’esposizione al virus per i soggetti HCV negativi che iniziano tale pratica.

Nosocomiale – la trasmissione nosocomiale HCV è possibile in presenza di inadeguate e insufficienti procedure di disinfezione o per inosservanza delle tecniche di controllo della diffusione delle infezioni. Tale tipo di trasmissione è stata riportata in modo aneddotico nella letteratura [8] con l’eccezione dell’ambiente emodialitico [9]. Seppur la prevalenza media di antiHCV positività tra gli emodializzati cronici è in progressiva diminuzione [10], essa risulta sempre più frequentemente correlata con l’età dialitica indipendentemente dall’anamnesi emotrasfusionale [11]. Escludendo quindi -sempre più spesso- la via d’infezione post-trasfusionale come causa d’infezione, nei centri dialisi la trasmissione dell’HCV deve avvenire verosimilmente per deficienze nelle pratiche preposte al suo controllo [12,13].

Occupazionale – tale tipo di trasmissione riveste fortunatamente un ruolo minore, tant’è che la prevalenza in infermieri, medici, chirurghi ortopedici, dentisti, vigili del fuoco, appartenenti alle forze dell’ordine e volontari, non è superiore a quella della popolazione generale, attestandosi tra l'1-2%. Le segnalazioni di trasmissione occupazionale sono anch’esse aneddotiche e la valutazione dei fattori di rischio per l’infezione di origine occupazionale sembra confermare che la puntura accidentale con ago è il solo fattore di rischio indipendentemente associato all’infezione da HCV [14]. L’incidenza media d’infezione dopo puntura accidentale o ferita da taglio con materiale da HCV positivo è pari all’1.8% con un range compreso tra 0 e 7% [15]. Sebbene siano stati segnalati casi sporadici di trasmissione associata a contaminazione mucosa o in presenza di cute non integra [16,17], nessuno studio d’incidenza è stato in grado di documentare tale tipo di trasmissione occupazionale [3].

Per via sessuale – anche se è dimostrato un aumento dei casi riconducibili a tale via di trasmissione non vi sono ancora dati di assoluta certezza (Fig.1). Comunque al pari degli altri patogeni virali di origine ematogena sembra che anche la trasmissione per via sessuale dell’HCV avvenga più facilmente dal maschio alla femmina, che viceversa [3].

 

Incidenza e prevalenza

Generalità

L’infezione da epatite C viene contratta a qualsiasi età, ma il picco d’incidenza si osserva tra i 20 e i 40 anni, con una lieve predominanza nel sesso maschile [18].

La prevalenza nella popolazione generale si attesta mediamente intorno all’1-2% con un picco tra i 30 ed i 50 anni nel sesso maschile [19], ma esistono enormi variazioni di prevalenza in base ai diversi fattori di rischio presenti nelle popolazioni studiate [20]: in Europa tra i donatori di sangue la prevalenza è pari allo 0.32%; in Asia varia dallo 0.5 al 3% [20]; in Italia nella popolazione generale adulta la prevalenza è intorno al 3% [5]; negli Stati Uniti si è passati da 230.000 nuovi casi/anno incidenti nel decennio ’80, a 36.000 nuovi casi nel 1996 [21,22].

Una distribuzione della prevalenza in classi è stata riportata in rapporto al rischio di esposizione [3]:

-         la maggior prevalenza d’infezione (70-100%) si trova nelle persone soggette a frequenti, ripetute e non controllate esposizioni percutanee al sangue, come nei tossicodipendenti (70-86%), negli emofilici* (70-90%) e nei pazienti riceventi trasfusioni od organi da donatori HCV positivi [23-27]

-         una prevalenza media (0-64%) si osserva in individui con ripetute ma controllate esposizioni percutanee, come nei pazienti in emodialisi cronica [28]

-         una prevalenza moderata (1-16%) si riscontra in chi è soggetto a ripetute esposizioni del tipo percutanea o mucosa inapparente o per chi è usuale a pratiche sessuali ad alto rischio [29,30]

-         bassa prevalenza (1-2%) si osserva in chi è soggetto a minime e sporadiche esposizioni percutanee come nel caso dei lavoratori del comparto sanitario [31]

-         la minor prevalenza d’infezione HCV (0.16%)  si registra a carico di quei soggetti privi di note anamnestiche di rischio, come nei donatori di sangue [32], una coorte altamente selezionata e che non deve essere presa come popolazione ‘normale’ di riferimento

 

* Trattati con concentrati di fattori emocoagulativi prodotti antecedentemente all’uso d’inattivazione dei virus e dei test di screening. Attualmente la Raccomandazione Europea CPMP/BWP/390/97 ed il DMS del 29 Marzo 1999 prevedono che da Luglio ‘99 le ditte produttrici di emoderivati testino il pool di plasma che utilizzano con test atti a rilevare anche un esiguo numero di copie dell’RNA virale. Presto ciò sara esteso anche allo screening dei donatori.

 

 

 

Il setting della dialisi

Il setting della dialisi si è dimostrato un ambiente particolare con proprie specifiche peculiarità epidemiologiche.

Come fu per il virus B, anche per il C, la trasmissione all’interno dei centri dialisi ha mostrato differenze epidemiologiche a seconda del periodo storico considerato: infatti se negli anni ’80 l’infezione si è diffusa principalmente per via parenterale (trasfusioni di sangue o emoderivati), negli anni ’90 è la trasmissione parenterale-inapparente a farla da padrone. La lezione che abbiamo imparato a posteriori è quella che negli anni ’80 mancava la consapevolezza dell’esistenza di tale infezione, non venivano impiegate adeguate norme profilattiche, nè si disponeva di test per lo screening diretto di sangue, emoderivati e donatori (si utilizzavano test indiretti come i marker dell’epatite B o HIV associati alle transaminasi). Tali carenze e la mancanza dell’eritropoietina ricombinante umana, facevano si che la maggior parte dei pazienti a quel tempo riceveva una dialisi con norme di profilassi sommarie, necessitando frequenti emotrasfusioni con sangue non sicuro per l’HCV.

Così agli inizi degli anni ’90, nei centri dialisi del nostro paese la prevalenza antiHCV si attestava mediamente tra il 20 ed il 40 % [33-35].

Fortunatamente nella seconda metà degli anni ’90 grazie:

-             all’entrata in vigore dell’obbligatorietà dello screening preventivo 

-             all’uso dell’eritropoietina che ha grandemente diminuito le pratiche emotrasfusionali

-             all’aumento delle nostre conoscenze sulle modalità di trasmissione dell’infezione

-             alla adozione delle norme di profilassi universale

nel setting della dialisi si è registrata un’inversione di tendenza [10].

Nonostante ciò, il fenomeno HCV in dialisi non può dirsi ancora sotto controllo. Si segnalano sieroconversioni di pazienti in assenza di pregresse pratiche emotrasfusionali o di altri fattori di rischio extradialitico; ovvero sieroconversioni per trasmissione nosocomiale di tipo parenterale-inapparente. Si pensa che questo tipo di trasmissione in dialisi riconosca come principale fattore di rischio l’elevata percentuale di emodializzati HCV positivi (elevata prevalenza). Infatti è stata dimostrata una correlazione diretta tra prevalenza ed incidenza: nei centri dialisi all’aumentare del numero di pazienti antiHCV positivi (prevalenza), cresce il numero di nuovi casi d’infezione (incidenza) [10,36].

In verità ciò poteva essere già sospettato per il fatto che:

-             nei pazienti dializzati a domicilio prevalenza ed incidenza sono praticamente nulle con qualsivoglia metodica dialitica [37]

-             nei pazienti in CAPD la prevalenza d’infezione è correlata al tempo precedentemente trascorso in emodialisi o trapianto renale [38]

 

Chiude il cerchio epidemiologico il dato che l’80% dei pazienti emodializzati HCV positivi, è persistentemente viremico, ovvero persistentemente infettante [39].

La realtà del setting emodialitico per quanto soprascritto è una realtà particolare e pertanto deve prevedere -come vedremo- delle misure particolari.