Raccomandazioni per la Prevenzione ed il Controllo dell’Infezione da HCV in Dialisi con la collaborazione di |
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INDICE DEI CONTENUTI
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PREVENZIONE Il razionale dell’EDTNA\ERCA La Filiale Italiana
dell’EDTNA/ERCA si propone di fornire a tutti gli addetti ai lavori uno
strumento di rapida consultazione sulla prevenzione dell’infezione da HCV in
dialisi. Adottare misure preventive ben codificate mantenendo un elevato
standard di pratica assistenziale è il razionale dell’EDTNA/ERCA.
Seppur di seguito
sarà dato ampio spazio ai dictat delle precauzioni, per l’EDTNA/ERCA
promuovere la prevenzione, significa promuovere l’implementazione di tutte
quelle attività che producono prevenzione primaria e secondaria
dell’infezione HCV (Tab.I). Tabella
I. Principali misure per la prevenzione primaria e secondaria. v
pratiche emotrasfusionali
sicure v
applicazione di tutte le
misure atte al controllo dell’infezione, siano esse di portata generale
(precauzioni universali o standard) o con indirizzo specifico al setting della
dialisi (precauzioni speciali) v
identificazione delle
persone a rischio di contrarre l’infezione (HCV-) e di quelle a rischio di
diffondere l’infezione (HCV+) (indipendentemente dal fatto che ogni
individuo -come enunciato nelle precauzioni universali- deve essere
considerato come potenzialmente infettante) v
monitoraggio dello stato
HCV v
terapia delle persone
infette v
educazione ed
aggiornamento di pazienti e personale sanitario v
sorveglianza e
monitoraggio dell’efficacia delle misure preventive in atto Raccomandazioni
per la prevenzione primaria Generalità Nel 1977 i CDC
pubblicarono per la prima volta le precauzioni per prevenire la trasmissione
dell’epatite B nei centri dialisi [40]. Con l’aumento dei casi di HIV e dopo
le prime segnalazioni di personale ospedaliero che aveva contratto l’infezione
HIV, le precuzioni emanate subirono una drammatica riorganizzazione. Per la
prima volta ci si rendeva conto che molti pazienti infetti da patogeni ematogeni
virali non erano clinicamente riconoscibili come tali. Così nella successiva
stesura delle precauzioni, nel 1985, per la prima volta veniva data enfasi a
precauzioni rivolte verso il sangue ed i fluidi corporei, universalmente di
tutti gli individui ed indipendentemente dal fatto di presumerne il loro stato
infettivo. Ciò portava alle cosidette precauzioni universali (PU) pubblicate
nel 1987, sviluppate per prevenire la trasmissione nosocomiale di tutti i
patogeni ematogeni (HBV, HIV ed altri non ancora noti) [41]. Nel 1996 le PU sono
state aggiornate con le precauzioni attualmente consigliate e dette precauzioni
standard [42]; standard a sottolineare il fatto che la loro applicazione è
considerata la norma. Le precauzioni standard -rivolte agli ambienti
ospedalieri- sintetizzano le principali caratteristiche delle PU [41], volte a
ridurre il rischio di trasmissione di patogeni ematogeni, e dei Body Substance
Isolation [43], volti a ridurre il rischio di trasmissione di patogeni da
derivati corporei. Tutte le misure per
controllare la diffusione delle infezioni in ambito sanitario si basano su tali
precauzioni, e tutto il personale che presta assistenza indipendentemente dalla
qualifica, dal tipo di lavoro preposto a svolgere ed ovviamente dal setting ove
è chiamato a prestare servizio, dovrebbe essere adeguatamente preparato a
conoscerle ed educato a comprendere il rischio connesso alle infezioni
nosocomiali ed occupazionali. Precauzioni per i tutti i pazienti: precauzioni standard Consistono essenzialmente nella
continua e rigorosa applicazione di tutte le precauzioni in esse contenute da
parte di tutti gli operatori sanitari. Infatti il mancato rispetto di tali
precauzioni o la loro saltuaria applicazione -anche da parte di un solo
operatore- può vanificare gli sforzi di un intero staff. Di seguito si enunciano solamente i
principi delle precauzioni standard, poichè i dettagli saranno trattati nelle
precauzioni per il setting di dialisi definite
precauzioni speciali. q
tutti i pazienti devono
essere considerati come potenzialmente infettanti, indipendentemente dalle loro
caratteristiche cliniche o sierologiche. Tale misura, ‘cardine delle PU’
porta al superamento di false negatività, anche quelle strettamente
sierologiche dovute al cosiddetto periodo finestra q
il materiale necessario a
porre in atto le precauzioni standard non deve mai mancare e pertanto se ne deve
prevedere il rifornimento continuo o le scorte necessarie q
le misure di barriera devono
essere sempre poste in atto mediante l’uso di camici, occhiali, maschere,
cappelli, guanti e quanto altro possa servire come barriera (boccagli e quanto
serva alla rianimazione), nel corso di quelle manovre assistenziali giudicate a
rischio per spandimento di materiale biologico o a rischio di contaminazione
bidirezionale (staff Ö
paziente) con qualsiasi patogeno; i guanti devono essere cambiati dopo ogni
manovra su ogni singolo paziente q
il frequente lavaggio delle
mani è considerata la manovra più importante per ridurre il rischio di
trasmissione di micro-organismi (sia tra più individui che in siti diversi
nello stesso individuo); indossare i guanti non esime dal lavaggio delle mani;
evitare di portare le mani al volto ed in particolare agli occhi o bocca
(mangiare, fumare, etc); non toccare oggetti di uso comune (telefoni portatili
ad esempio) prima di essersi lavati le mani o peggio se si indossano i guanti q
massima precauzione
possibile nell’impiego di taglienti ed aghi che non andranno mai
reincappucciati, piegati, rimossi dai loro supporti, e che andranno eliminati in
adeguati contenitori rigidi posti in posizione utile agli usuali percorsi di
lavoro q
pulizia, disinfezione ed ove
possibile sterilizzazione, ambientale e di tutti i presidi strumentali q
i campioni biologici o
eventuali prelievi bioptici devono essere maneggiati e trasportati adeguatamente
(in contenitori o portaprovette) Il setting della dialisi E’ampiamente
riconosciuto che le precauzioni necessarie nei centri dialisi sono più
articolate e stringenti delle normali precauzioni standard [3]. Infatti a fronte
delle prescrizioni standard adottabili nei normali reparti di degenza medica o
chirurgica, il setting della dialisi richiede un supplemento di misure. Ad
esempio, l’uso dei guanti che nei reparti di degenza viene richiesto solo
nelle manovre a rischio per possibile contatto con sangue, fluidi corporei,
secrezioni, escrezioni o qualsiasi contaminato, nei centri dialisi è richiesto
per qualsiasi paziente e qualsiasi strumento con cui si venga in contatto,
indipendentemente dal rischio di contaminazione [3]. Ancora, nei reparti di
degenza le precauzioni standard non restringono l’uso di medicinali, strumenti
(bracciali per la misurazione della pressione arteriosa ad es.) e forniture al
singolo paziente; viceversa nei centri dialisi è da proscrivere qualsiasi
condivisione tra pazienti [3]. Nei centri dialisi
è raccomandata la figura di un coordinatore scelto tra il personale [3]. Ad
esso il compito di organizzare un programma educazionale per il rispetto delle
norme e di protocolli atti a registrare esposizioni percutanee/mucose,
prevalenza e incidenza dell’infezione in pazienti e personale. Al coordinatore
il compito di portare a conoscenza del personale l’andamento dei protocolli,
aggiornarlo sui progressi raggiunti in materia [3] proponendo ove possibile la
vaccinazione (infezione da HBV [42]). Altrettanto importante il compito di
preparare adeguatamente i famigliari che operano assistenza domiciliare ai
propri cari, rendendoli edotti del potenziale rischio di infezioni ematogene,
proponendo -ove possibile (HBV)- la vaccinazione, valutando nel tempo l’uso
delle procedure per il controllo delle infezioni. Infine da segnalare
che non esiste alcuna raccomandazione/precauzione aggiuntiva che restringa il
campo di attività per gli operatori sanitari HCV positivi [44], oltre a dover
seguire le normali tecniche di asepsi e le precauzioni standard. Precauzioni
per i pazienti emodializzati: precauzioni speciali Per cercare la
prevenzione primaria della diffusione nosocomiale dell’infezione HCV nei
centri dialisi, sono raccomandate ed accettate da un sempre crescente numero di
centri, delle precauzioni speciali con un indirizzo tecnico-logistico specifico
per l’ambiente dialitico. Queste precauzioni se scrupolosamente seguite da
tutti i componenti lo staff, pongono al riparo dalla diffusione
dell’infezione, senza dover ricorrere a misure assai più onerose sul piano
economico/organizzativo come l’isolamento dei pazienti HCV (o HIV) positivi.
E’ questo il razionale -in dialisi- delle misure supplementari o speciali [3]
sottoriportate. v
Aggiornamento: il personale
di dialisi deve essere preventivamente informato, preparato ed aggiornato
sull'argomento; in ogni realtà dialitica dovrebbe esserci un gruppo specifico
di lavoro nel quale si possa individuare una referenza permanente v
Rapporto numerico
personale/pazienti: il rapporto personale/pazienti/sale dialisi deve essere
mantenuto ottimale, certamente tenendo conto delle norme in vigore,
eventualmente modificate in rapporto alle peculiari caratteristiche del centro;
tenere presente che: disordine, sovra affollamento delle sale dialisi (eccesso
di pazienti) ed eccessivo sfruttamento del personale facilitano la
cross-infezione v
Area di lavoro: le
dimensioni delle sale dialisi devono essere tali da garantire uno spazio
adeguato per lo svolgimento delle consuete manovre assistenziali per ogni
stazione dialitica; sono da preferire situazioni che prevedano un massimo di
quattro stazioni dialitiche per sala v
Separazione delle aree a diverso rischio: aree facilmente contaminabili
(stazioni dialitiche, punti di prelievo o dove sono processati i campioni, ad es.)
ed aree difficilmente contaminabili (dove si tengono e preparano medicinali, le
medicazioni, ad es.) devono essere fisicamente separate v
Igiene delle superfici delle sale dialisi: tutte le superfici delle sale dialisi
devono essere sottoposte a lavaggio e disinfezione di basso livello, non appena
si renda evidente o nel sospetto di una contaminazione con sangue od altro
biologico contaminato, e comunque subito dopo la fine di ogni turno di dialisi
(con speciale attenzione per le aree che potrebbero essere state toccate dai
guanti) v
Igiene degli
oggetti della stazione dialitica: tutti gli oggetti compresi nella stazione
dialitica (letto, monitor, eventuali comodino/tavolo/sedia, etc) devono essere
lavati e disinfettati dopo ogni sessione dialitica o immediatamente dopo
l’evidenza di una contaminazione, con disinfezione di basso livello v
Igiene dei monitor: i
circuiti idraulici dei monitor per dialisi devono essere sottoposti a lavaggio,
disinfezione ad alto livello (con disinfettanti registrati come medical devices
come da D.Lgs.n.46/1997) ed ove possibile a sterilizzazione per autoclavaggio,
dopo ogni singolo trattamento, nel rispetto delle modalità e dei tempi indicati
dalle ditte costruttrici gli apparecchi. E’ raccomandata la periodica
disincrostazione dei circuiti idraulici sempre come da indicazioni della ditta
costruttrice l'apparecchio. Sono da evitare -ove possibile e progressivamente
nel tempo- le macchine con ricircolo -anche parziale- del liquido di dialisi v
Asegnazione stazione
dialitica: i pazienti devono essere assegnati ad una specifica ‘stazione’
dialitica (non definitiva ma stabile entro una logica programmazione del centro) v
Evitare qualsiasi condivisione: l’utilizzo di carrelli per le medicazioni per più pazienti non deve
essere permessa; la preparazione e la distribuzione dei farmaci dovrebbe
avvenire in un’area centralizzata: evitare situazioni in cui la preparazione
dei farmaci avviene nello stesso ambiente dove ci si lava le mani o si
maneggiano campioni biologici o equipaggiamento dialitico, ad esempio.
L’impiego di farmaci o preparati multidose richiede l’utilizzo di
materiale sanitario (siringhe ad esempio) monouso per ogni somministrazione e
per ogni paziente. La condivisione di strumentazioni e forniture tipo arcelle,
bracciali di apparecchi per la misurazione della pressione arteriosa, clamp,
forbici, ed altri materiali non-disposable deve essere evitata; tutta la
biancheria delle sale deve essere cambiata dopo ogni sessione v
Personalizzare il materiale
per i pazienti: tutto il materiale sanitario non monouso non disposable nè
sterilizzabile (lacci emostatici, premifistola, bracciali per la misurazione
della pressione, ecc) deve essere strettamente personalizzato per ogni paziente
indipendentemente dallo stato sierologico v
Vestiario: per quanto
attiene al vestiario degli operatori esso deve coprire la maggior superficie
corporea possibile; deve essere immediatamente cambiato quando risulti
contaminato con sangue o altri materiali biologici; sarebbe prefeferibile che il
vestiario venisse cambiato dopo ogni turno (giorno) v
Precauzioni di barriera:
nelle manovre in cui sia possibile una contaminazione (schizzi, spandimenti,
spruzzi, etc) con materiali biologici gli operatori devono indossare occhiali o
maschere protettive e cappellino Guanti
in lattice: devono sempre essere
indossati prima di qualsiasi manovra su pazienti, monitor e strumenti; i guanti
devono essere sempre rimossi ed adeguatamente smaltiti, non appena sia finita la
manovra assistenziale; soprattutto se contaminati essi devono essere tolti prima
di toccare pazienti, monitor, strumenti, oggetti, superfici o colleghi;
comunquesia, i guanti devono essere cambiati prima di una successiva manovra
assistenziale (anche se non risultano contaminati alla vista). Ad esempio un
paio di guanti ‘nuovi’ dovrebbe essere indossato anche in manovre come: -
misurazione della pressione arteriosa -
somministrazione di soluzioni, eparina, farmaci, etc -
prima di intervenire (toccare) sulla macchina di dialisi per aggiustare
parametri tipo flusso ematico, etc -
per maneggiare campioni biologici (prelievi di sangue etc) v
Pulizia delle mani: il
personale dopo ogni manovra sul malato (una volta gettati i guanti) deve
provvedere a lavarsi le mani; il personale non dovrebbe fumare, bere o mangiare
se non in un’area separata, naturalmente dopo adeguato lavaggio delle mani v
Materiale non-disposable:
tutto il materiale sanitario non-disposable ma riutilizzabile deve essere
appropriatamente lavato e disinfettato: -
a basso livello subito dopo ogni utilizzo -
sterilizzato per essere riutilizzato il materiale non-disposable non riutilizzabile deve
essere adeguatamente smaltito; i percorsi di lavoro devono essere adeguati alla
realtà ambientale del centro dialisi onde cercare il modo più facile di
smaltimento dei materiali, anche cercando di prevedere situazioni d’emergenza v
Materiale disposable: deve
essere incentivato il suo maggior uso possibile, in rapporto ad una ragionevole
sostenibilità economica; in particolare il materiale impiegato per la dialisi
deve essere smaltito in contenitori rigidi contenenti un sacco impermeabile e
contrassegnati all’esterno come rifiuti speciali ospedalieri secondo le
vigenti norme in proposito (D.Lgs. 5 Febb.1997 n.22) v
Controlli sierologici dei
pazienti: i pazienti emodializzati nei nosocomi, devono essere sottoposti a
controllo mensile delle transaminasi, un marker indiretto ma attendibile
d'infezione da epatite C; questo è un parametro, relativamente precoce e
sensibile (specie le GOT ), soprattutto se si tiene presente il range di
normalità nei pazienti in dialisi (cade nella metà inferiore di quello dei
soggetti normali). Il test antiHCV è in grado di identificare l’infezione in
oltre il 90% dei casi; il test dovrebbe essere praticato con cadenza semestrale,
soprattutto tenendo presente che il periodo medio di positivizzazione
nell'uremico cronico è maggiore che nel resto della popolazione. Deve essere
noto che tale pratica non apporta alcuna notizia certa circa l’infettività
nel singolo paziente: gli anticorpi antiHCV non sono protettivi (non
neutralizzano il virus). La viremia (HCVRNA), unico marker certo di infettività,
persiste in circa l'80% dei pazienti antiHCV positivi. Questo test non è
attualmente consigliato dalle agenzie internazionali come i CDC. Monitor dedicati ai pazienti HCV positivi Sono numerose le
raccomandazioni di agenzie internazionali, società scientifiche ed enti
sanitari che negano l’utilità di dedicare i monitor per dialisi ai pazienti
HCV positivi [3,9,42,44-46]. La recente
osservazione che nei centri dialisi l'incidenza di nuove sieroconversioni è
correlata alla prevalenza dei pazienti HCV positivi [10,36] ripropone -in
maniera mirata- tale precauzione aggiuntiva. Una ‘sensazione’ evidentemente
avvertita anche dai legislatori di alcune nostre Regioni, quando nei
criteri/requisiti per l’esercizio della terapia dialitica si specifica che...
I pazienti portatori di anticorpi antiHCV che presentino segni clinici e/o
sierologici di potenziale infettività sono dializzati su apparecchiature
dedicate al loro trattamento. Le apparecchiature destinate a tali pazienti sono
identificate da simboli permanenti applicati alla singola macchina, non
rimovibili con il lavaggio... (Regione Lazio [47]), o che... La dotazione minima
è di un adeguato numero di preparatori singoli per i pazienti che presentano
segni clinici e sierologici di potenziale infettività, ciascuno dotato di
simbolo permanente di identificazione (Regione Autonoma della Sardegna [48]). Pertanto, il buon
senso, l’esperienza personale ed alcune legislature Regionali, fanno
propendere per questa precauzione aggiuntiva; almeno per quelle realtà in cui
l'elevata concentrazione di pazienti HCV positivi (> 40%), profila un rischio
d’infezione nosocomiale non ordinario, bensì straordinario. Tale misura,
contrariamente a quanto teorizzato [45,46], non abbassa il livello di attenzione
del personale. Anzi, lavorare in un’area di dialisi ove la situazione
‘promiscua’ è nota, o meglio ‘prestabilita’ -da una parte stazioni per
pazienti HCV negativi, dall’altra per HCV positivi- produce un aumento del
livello di attenzione. In un’area disomogenea per rischio il maggior ordine o
il minor disordine possibile (quelle stazioni sono per i C+!) è
un’assicurazione per ridurre il rischio di errori. Nonostante
l’apparente contraddizione -secondo le precauzioni universali ogni paziente
deve essere considerato potenzialmente infettante- nei centri ove tale misura
aggiuntiva è stata provata, si è sentita la necessità di prevedere,
pianificare e razionalizzare, i percorsi di lavoro ‘migliori’ nonchè quelli
più ‘semplici’ [49]. Proprio perchè è
esperienza comune, quella che vede l’infermiere di dialisi abituarsi a
convivere con la possibilità di diventare un anello della catena epidemiologica
dell’infezione nosocomiale, riteniamo che la maggior razionalizzazione del
rischio porti un personale formato ed informato a sentir maggiormente
l’esigenza di attenersi alle norme e ai percorsi preventivi con minor tendenza
d’abbandono, rassegnazione o abitudine al problema HCV. L’isolamento dei pazienti HCV positivi Le caratteristiche
del virus dell’epatite B (elevata contagiosità, resistenza all’ambiente
esterno, ai comuni disinfettanti fisici e chimici) e la sua elevata carica
virale circolante hanno reso ragionevole la pratica dell’isolamento dei
pazienti HBsAg positivi [5]. Tale misura non appare necessaria per il virus C
che possiede caratteristiche meno aggressive [50]. Viceversa la continua
mutazione del virus C sotto la pressione immunologica dell’ospite (il virus
muta in presenza di anticorpi potenzialmente neutralizzanti) [51], oltre ad
essere fonte di persistenza dell’infezione rende inutile -se non addirittura
dannosa- la separazione dei pazienti HCV positivi per il pericolo di coinfezione
e/o reinfezione [45,46,52]. Oltre a ciò è
pleonastico affermare che l’isolamento non esime dall’adozione e rispetto
delle precauzioni standard. Poichè sono molti i reports di autori,
agenzie-internazionali e società-medico-scientifiche che negano l’utilità
dell’isolamento -nel rispetto delle precauzioni standard- si ribadisce
l’inutilità dell’isolamento che produce anche un ingiustificato e
insostenibile aumento dei costi e delle problematiche organizzative
[3,9,42,44-46,49,50,53-58] (Fig.
2). Monitoraggio antiHCV L’argomento della
monitorizzazione dell’infezione è ancora dibattuto a causa di incertezze del
tipo: quando, quanto spesso, quale test, chi testare... Il monitoraggio
dello stato HCV deve essere offerto alle persone a maggior rischio di contrarre
l’infezione e a chi potrebbe beneficiare di un’eventuale terapia
antiinfettiva anche solo per combattere le complicanze dell’infezione. Non
dovrebbe essere dimenticato che il monitoraggio deve essere sempre accompagnato
da un’adeguata educazione e preparazione sull’infezione. Esula dalla
trattazione di queste raccomandazioni, addentrarsi specificatamente sulle
categorie di persone a rischio di contrarre l’infezione. Non deve essere
omesso di dire che un giudizio sereno e ponderato -su chi è a rischio o no- può
evitare sia la mancata offerta del test a chi necessita veramente di essere
controllato (pericolo di mancata prevenzione in chi è positivo senza saperlo)
sia lo spreco legato ad un’offerta inutile ed eccessiva (mediante una corretta
raccolta di notizie anamnestiche). Alcune
considerazioni devono comunque guidare la prescrizione del test HCV: -l’appartenenza
(anche pregressa) a note categorie di rischio (tossicodipendenza, emofilia,
emodialisi cronica, partner HCV+, etc) -l’evidenza di
comportamenti a rischio indipendentemente dall’appartenenza a categorie a
rischio (contaminazione con
paziente C+ in un operatore sanitario) -la prevalenza
d’infezione nella popolazione o coorte a cui appartiene l’individuo (emodializzato
cronico in ospedale, piuttosto che a domicilio o in peritoneale). Con tali premesse di
seguito è riportata un’elencazione (semplificata e passibile di futuri
aggiornamenti/modificazioni) di categorie di persone che dovrebbero essere
controllate per l’HCV [3]: v
Tossicodipendenti v
Persone con determinate
condizioni medico-anamnestiche, mai testate v
Chi ha ricevuto fattori
della coagulazione prima del 1987 v
Chi ha ricevuto trasfusioni
o trapianti prima del 1992 v
Uremici cronici in fase
predialitica v
Persistenza di elevati
valori di transaminasi (attuale o pregressa) v
Operatori sanitari,
dell’emergenza, della pubblica sicurezza o volontari, dopo esposizione cutanea
(puntura d’ago, ferita) o mucosa con sangue (o liquido biologico contenente
sangue) v
Bambini nati da madre HCV
positive Sino a pochi anni
fa lo screening periodico dei pazienti emodializzati cronici non era
raccomandato dai maggiori enti e dalle agenzie internazionali [9]. Tale misura
è in discussione in agenzie come i CDC&P di Atlanta [3], per quello che sarà
l’aggiornamento delle raccomandazioni per la prevenzione delle infezioni da
patogeni ematogeni. Nel setting dell’emodialisi cronica è consigliabile
testare periodicamente tutti i pazienti per la ricerca di anticorpi antiHCV. Uno
screening semestrale o al massimo annuale può ritenersi idoneo anche in
considerazione del tempo medio di sieroconversione nell’emodializzato. Questo
è un dato emerso dalla recente Indagine Nazionale curata dalla Filiale Italiana
dell’EDTNA/ERCA, che ha dimostrato che in Italia nel 1996 la frequenza del
controllo dell’HCV era attuata in media ogni 5 mesi (mediana 6 mesi) su tutti
i pazienti nel 97 % dei centri che hanno aderito all’indagine (il 26% dei
centri italiani) [59]. E’possibile che tale pratica contribuisca in un futuro
prossimo a migliorare la nostra conoscenza sulla storia naturale
dell’infezione nella coorte dei pazienti uremici cronici in trattamento
sostitutivo. La ricerca degli
anticorpi antiHCV mediante test ELISA di III o successiva generazione è
indispensabile anche nel caso di pazienti con movimento delle transaminasi in
almeno due determinazioni ravvicinate. Raccomandazioni
per gli operatori sanitari Un’ampia
legislazione specifica i doveri del ‘datore di lavoro’ verso i lavoratori:
la tutela della salute (articolo 2087 del codice civile), l’obbligo di
valutare i rischi e di redigere un piano di sicurezza (art.3 D.Lgs.626/1994),
rendere edotti i lavoratori sui rischi specifici cui sono esposti e sui modi di
prevenirli, fornire loro i mezzi necessari di protezione ed esigere che essi
osservino le norme di igiene ed usino i mezzi di protezione (art.4 del D.P.R
303/1956) [60]. Tutti i lavoratori
devono ricevere un’adeguata formazione sui metodi di lavoro e sui rischi ad
esso connessi in occasione dell’assunzione o del cambio di mansioni o
all’introduzione di nuove tecnologie/procedimenti o al sopraggiungere di nuovi
rischi [60]. Successivamente i lavoratori saranno informati ed aggiornati sui
rischi e sui mezzi di prevenzione/protezione previsti, con apposite riunioni
annuali (art.11) [60]. Sempre ai sensi del
D.Lgs.626/1994 viene consigliata una visita medica (follow-up) annuale nella
quale siano monitorati i principali parametri emato-sierologici tra cui i
markers HBV, HCV, HIV (dietro consenso), transaminasi, etc. [61]. Al di là delle
prescrizioni vigenti e che la prevalenza antiHCV tra gli operatori non sia
sostanzialmente diversa da quella della popolazione generale (1-2 vs 1-3 %
[5,31]) i centri dialisi sono tradizionalmente considerati un ambiente ad
elevato rischio professionale per la trasmissione di malattie infettive da
patogeni ematogeni. A differenza del rischio nosocomiale che oggigiorno viene
attribuito soprattutto alla trasmissione parenterale-inapparente, il rischio
professionale è prevalentemente dovuto alla trasmissione parenterale, ovvero
alla puntura d’ago o ferita con tagliente; minor rischio viene attribito alle
contaminazioni permucosa (orale e congiuntivale) e percutanea (cute/sangue)
inapparenti [62]. Il tasso medio di sieroconversione dopo puntura con sangue da
paziente HCV positivo è stimato intorno al 3.7% [62] e sino al 10% in presenza
di viremia [63], pari ad una probabilità di 0.073 ogni 10.000 dialisi [64]. Il
rischio professionale in emodialisi Il rischio
professionale in emodialisi è sostenuto da molteplici variabili sintetizzabili
in tre punti principali: 1.
attività specifica cui il personale è chiamato: - elevato numero di manovre traumatiche con materiale atto ad operare soluzioni di continuità della cute dei pazienti (ed in caso di errata manovra anche degli operatori): incannulamento e decannulamento di fistole artero-venose, protesi vascolari, shunt A-V, ovvero di accessi vascolari ad elevato regime pressorio -
reiterate manovre con
circuiti di circolazione extracorporea: connessione e
deconnessione, smaltimento, gestione di cannule
venose centrali -
elevata prevalenza per il patogeno ematogeno considerato nella popolazione
trattata, ovvero elevata percentuale di pazienti
potenzialmente infettanti (in
sintesi alla frequenza di incidenti che pongono l’operatore a contatto con il
sangue dei pazienti) 2.
peculiari caratteristiche dell’agente patogeno: -
virulenza -
resistenza all’ambiente -
carica virale ( ad esempio il virus B è più pericoloso del virus C che è più
pericoloso dell’HIV [62]). 3.
percezione del rischio occupazionale da parte dell’operatore (Tab.II) Fattori che
sappiamo poter aumentare la probabilità d’infezione in caso di contaminazione
ematogena accidentale sono: -
la
quantità di sangue con cui si viene in contatto -
la superficie corporea esposta -
la profondità dell’inoculo -
la mancanza di protezioni di barriera Aghi cavi e di
maggior calibro (come gli aghi per fistole A-V) sono i più pericolosi
(contengono più sangue); la presenza di guanti -anche se oltrepassati da
taglienti o aghi- riduce il rischio (minor quantità di sangue); la presenza di
lesioni cutanee o mucose aumenta il rischio di contrarre l’infezione. Il mezzo più
potente che il personale possiede per ridurre al minimo il rischio di contrarre
l’infezione occupazionale è quello di seguire in maniera scrupolosa e
continuata le soprascritte raccomandazioni e di pretendere ciò da ogni collega. In caso di contaminazione In caso di
contaminazione cutanea (puntura, taglio o schizzo), l’operatore deve conoscere
quei provvedimenti immediati da porre in atto per ridurre il rischio di
trasmissione dell’infezione: §
aumentare immediatamente il sanguinamento §
lavare la lesione con abbondante acqua e sapone §
disinfettare la ferita con clorossidante elettrolitico al 10% (non in prossimità
delle mucose e degli organi di senso) In caso di contaminazione mucosa §
immediato ed abbondante risciacquo del sacco congiuntivale e del cavo orale con
acqua. Solo per il cavo orale il risciacquo può proseguire con clorossidante
elettrolitico al 5% Successivamente
l’operatore deve seguire la prassi dovuta per gli infortuni sul lavoro: à
presentarsi al punto
di pronto soccorso ove verrà valutata l’entità dell’infortunio, verrà
redatta la denuncia INAIL, verrà informata la direzione sanitaria competente,
compilate le schede analitiche d’infortunio e verranno presi i primi eventuali
provvedimenti medici (anche in rapporto al rischio dovuto al tipo di patogeno
ematogeno, per cui si potrà inviare l’op à
presa in carico dal servizio competente di medicina del personale o di malattie
infettive per lo screening -indipendentemente dallo stato sierologico del
paziente- e per fornire all'operatore tutte le informazioni del caso e le
eventuali prescrizioni terapeutiche à
screening basale per valutare lo stato dell’operatore rispetto i maggiori
patogeni ematogeni (HIV, HBV=HBsAg, HCV), transaminasi, bilirubina, YGT,
elettroforesi proteica, emocromo completo, VDRL, gravindex, etc à successivamente in un lasso di tempo variabile a seconda delle realtà locali e compreso tra i 3 e i 12 mesi dal prelievo basale, l’operatore deve essere sottoposto ad eventuali ulteriori controlli, tra cui la ripetizione del test HCV (Figg. 3 e 4) Anche il paziente fonte della contaminazione (previo consenso) deve essere controllato per i principali marker. Deve essere enfatizzato che ad oggi non esistono delle linee-guida -accettate dalle maggiori agenzie/associazioni/enti, etc- sulla profilassi post-esposizione da HCV: le immunoglobuline o gli agenti antivirali non sono raccomandati. Riguardo alle immunoglobuline deve essere ricordato che non è stata dimostrata l’esistenza di anticorpi antiHCV con potere neutralizzante il virus.
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