Raccomandazioni per la Prevenzione ed il Controllo dell’Infezione da HCV in Dialisi con la collaborazione di |
||
INDICE DEI CONTENUTI Presentazione Comitato Stesura Glossario * Introduzione Un problema nel problema * Epidemiologia Modalità di trasmissione infezione Trasfusionale, trapianto, tossicodipendenza Nosocomiale Occupazionale Sessuale Incidenza e prevalenza Generalità Il setting della dialisi Prevenzione Il razionale dell’EDTNA\ERCA Raccomandazioni per la prevenzione primaria Generalità Precauzioni per i tutti i pazienti: precauzioni standard Il setting della dialisi Precauzioni per i pazienti emodializzati: precauzioni speciali Monitor dedicati ai pazienti HCV+ L'isolamento dei pazienti HCV+ Monitoraggio antiHCV Raccomandazioni per gli operatori sanitari Il rischio professionale in emodialisi In caso di contaminazione Cenni di terapia Storia naturale dell’infezione in dialisi Chi dovrebbe essere trattato? Appendice: Carta d'identità del virus C |
INTRODUZIONE Negli ultimi dieci anni si è acquisita una notevole messe di dati
sull’infezione da HCV, una patologia che negli anni ’70-‘80 era conosciuta
con il nome di epatite non-A, non-B. Grazie alla scoperta del virus C,
avvenuta nel 1988 [1,2], oggi sappiamo che la maggior parte di quei casi di epatite
non-A, non-B in realtà era dovuta a questo virus. Gli studi epidemiologici
successivi hanno dimostrato la rilevanza della sua prevalenza nelle diverse
popolazioni del globo nonché in particolari coorti di pazienti. E’ormai nota
anche la rilevanza economica di questa patologia. Le spese sanitarie e sociali
dovute all’infezione HCV sono assai elevate. Negli USA, ad esempio, la spesa
per le giornate lavorative perse, per l’assistenza ai malati acuti e per le
conseguenze della sua cronicizzazione, ammonta a circa 600 milioni di $ l’anno
[3]. L’insufficienza epatica HCV-correlata è infatti la causa più frequente
di trapianto di fegato, e quest’ultimo riveste il DRG al quale -anche in
Italia- viene attribuita maggior complessità e controvalore (DRG 480,
22.18000 punti per un valore di 117 milioni di lire) [4]. Un
problema nel problema La
mancanza di conoscenza del virus HCV e l’assenza di un test specifico per il
suo screening hanno facilitato la sua diffusione nel mondo. Le esposizioni
percutanee al sangue, dovute principalmente alle trasfusioni di emoderivati e
all’uso di droghe per via parenterale-endovenosa (ovvero la tossicodipendenza)
hanno contribuito maggiormente alla sua diffusione nei decenni ‘70 e ‘80. A
partire dal 1994, grazie all’introduzione dello screening obbligatorio di
emoderivati e donatori, il contagio per via emotrasfusionale è divenuto una via
sempre più rara di diffusione dell’infezione. Attualmente si ritiene che tale
via sia passata in subordine per importanza al contagio interumano per via
inapparente. Ciò ha delle ovvie implicazioni positive che vengono fortemente
ridimensionate dal fatto che l’infezione HCV è un’infezione subdola. Molte
persone che hanno contratto l’epatite C e che sono divenute cronicamente
infette, non ne hanno la consapevolezza perché quest’infezione spesso non da
sintomi specifici né si manifesta come una malattia clinicamente evidente [3].
Dato che i soggetti cronicamente infetti spesso non hanno ‘coscienza’
di esserlo essi hanno costituito, costituiscono è costituiranno un serbatoio
d’infezione difficilmente debellabile in assenza di un programma vaccinale;
quest’ultimo non è prevedibile in un breve lasso di tempo. Il problema ‘HCV’ attualmente può essere dimensionato nelle tre
seguenti affermazioni [5]: -
i portatori nel mondo (ovvero i soggetti cronicamente infetti) sono oltre
300 milioni -
dopo la risoluzione della fase acuta circa l’80% dei soggetti continua
ad essere persistentemente viremico (ovvero persistentemente infettante) -
il tasso di cronicizzazione della malattia è superiore al 50%.
|