Raccomandazioni per la Prevenzione ed il Controllo dell’Infezione da HCV  in Dialisi con la collaborazione di

I

INDICE DEI CONTENUTI
Presentazione
Comitato Stesura
Glossario
 * Introduzione
Un problema nel problema
Epidemiologia
Modalità di trasmissione infezione                                  
Trasfusionale, trapianto, tossicodipendenza
Nosocomiale
Occupazionale
Sessuale
Incidenza e prevalenza
Generalità 
 Il setting della dialisi

Prevenzione
Il razionale dell’EDTNA\ERCA
Raccomandazioni per la prevenzione primaria
Generalità
Precauzioni per i tutti i pazienti: precauzioni standard
Il setting della dialisi
Precauzioni per i pazienti emodializzati: precauzioni speciali
Monitor dedicati ai pazienti HCV+
L'isolamento dei pazienti HCV+
Monitoraggio antiHCV
Raccomandazioni per gli operatori sanitari

Il rischio professionale in emodialisi
In caso di contaminazione

Cenni di terapia

 Storia naturale dell’infezione in dialisi
Chi dovrebbe essere trattato?

Appendice: Carta d'identità del virus C

 

CENNI DI TERAPIA

 

Storia naturale dell’infezione

Nei pazienti in dialisi che contraggono l’infezione HCV, l’esordio acuto è quasi sempre del tutto clinicamente silente e quando presente compare dopo un periodo medio di incubazione di 3 mesi. La maggior parte delle volte sono proprio gli esami routinari di screening che pongono il sospetto d’infezione con un modesto aumento delle transaminasi, che retrospettivamente può essere messo in correlazione con una vaga sintomatologia astenica ed aspecifica, come in corso di una sindrome simil-influenzale [65]. Anche nella popolazione dialitica la percentuale di cronicizzazione è elevata, sino al 90% dei casi. L’andamento della malattia cronicizzata è praticamente asintomatico, con modeste e saltuarie elevazioni delle transaminasi -un indice di malattia di per se poco sensibile- data la frequente persistenza della viremia [39]. La valutazione prognostica a lungo termine non è ancora nota. Seppur non sembra vi sia un aumento della mortalità correlata all’infezione da virus C nei primi 10 anni d’infezione, l’evoluzione a lungo termine necessiterebbe di un periodo di osservazione assai lungo, così lungo da eccedere l’aspettativa media di vita dei pazienti in dialisi.

 

Chi dovrebbe essere trattato?

Pur esulando dallo scopo di questa pubblicazione si è ritenuto opportuno dare un breve cenno informativo sulle attuali possibilità di trattamento della malattia. Si fa riferimento alla Consensus Development Conference sul trattamento dell’epatite C tenuta nel 1997 dal National Institutes of Health [66].

Genericamente il trattamento è raccomandato per quei pazienti con epatite C cronicizzata ed a maggior rischio di progredire verso la cirrosi. Tale progressione è codificata nelle seguenti caratteristiche:

q       Livelli di transaminasi persistentemente elevati (e probabilmente di YGT [39,67])

q       Positività alla ricerca della viremia (HCVRNA+)

q       Fibrosi o infiammazione o necrosi portale alla biopsia epatica

 

Il trattamento deve essere preso in considerazione anche per particolari categorie di pazienti, come i pazienti candidati al trapianto renale. E’ noto infatti che nel paziente trapiantato, la terapia immunostimolante (interferone) aumenta il rischio di rigetto; per contro la terapia immunosoppressiva il rigetto, favorendo la replicazione virale può aggravare il decorso dell’epatite. Sono in atto studi in cui interferone e ribavirina -un farmaco antivirale- sono somministrati in associazione.

 

Il trattamento non è chiaramente indicato o addirittura è controindicato nei pazienti con le seguenti caratteristiche:

§        Pazienti con età inferiore a 18 aa o superiore a 60 aa

§        Pazienti con transaminasi persistentemente normali

§        Pazienti con cirrosi avanzata a rischio di scompenso indotto dalla terapia

§        Pazienti abituali consumatori di alcol o droghe

§        Pazienti con depressione, citopenie, ipertiroidismo, trapianto renale, malattie autoimmuni, donne in stato di gravidanza.